Antonio Juvarra – Risposte e controdomande a un vocologo

elefant bola

Iniziamo il mese di giugno leggendo il consueto articolo mensile di Antonio Juvarra, questa volta impostato come una lettera aperta in risposta a un articolo scritto da un foniatra.

RISPOSTE E CONTRODOMANDE A UN VOCOLOGO

In un suo articolo sul canto un noto foniatra artistico, alias vocologo, si chiede:

  • Dire ‘solleva l’ arcata zigomatica’ invece di ‘metti il suono in maschera’, non aiuta a descrivere con un poco più di aderenza alla realtà lo stesso processo?”

Caro dottore, innanzitutto io non parlerei di diverso grado di “aderenza alla realtà”, ma di diverso grado di “lontananza dalla realtà” delle due manovre tecnico-vocali da lei citate. Precisato questo, lei ipotizza che il primo dei due espedienti (sollevare l’ arcata zigomatica) sia meno irreale del secondo (mettere il suono in maschera). Può darsi. Io so solo una cosa: che anche questo espediente, al pari dell’ altro, non avvicina l’ allievo al canto, ma lo allontana. In entrambi i casi infatti il risultato è lo stesso ed è stato chiarito con ‘sentenza’ definitiva da un tenore a cui certamente non faceva difetto quel “focus” e quella “proiezione” del suono che lei attribuisce a queste due operazioni, e questo tenore è Franco Corelli, il quale ha detto: “se si pensa alla maschera, la gola si chiude.” A questa proposizione oggi si può tranquillamente aggiungere il corollario: “se si solleva l’ arcata zigomatica, manovra ‘esterna’ in tutti i sensi, il suono si schiaccia” (che è un altro modo per dire la stessa cosa). D’ altra parte questo è solo uno dei tanti effetti collaterali nocivi di quelle azioni muscolari dirette e localizzate, di cui voi foniatri artistici ormai da quasi due secoli (!) siete incorreggibili (e irresponsabili) spacciatori, e un elenco (parziale) di questa merce lo ha stilato proprio lei in questo stesso articolo, dove arriva a prescrivere vocalizzi da eseguire: 1 – con la lingua protrusa 2 – con le labbra protruse 3 – pensando di soffiare in una cannuccia 4 – mugolando glissati a bocca chiusa 5 – facendo ‘trilli’ labiali 6 – facendo ‘trilli’ linguali. Ebbene, nessuna di queste astruse manovre ha a che fare col “processo” da lei auspicato, se per “processo” si intende quello con cui il cantante sintonizza perfettamente il suono in modo che possa crearsi il fenomeno della risonanza libera, tipica del canto di alto livello, noto anche come belcanto.

Come lei sa, il “mettere il suono in maschera” e il “sollevare l’ arcata zigomatica” sono entrambi prodotti foniatrici DOC. Il primo risale all’ Ottocento ed è stato sconfessato recentemente dagli stessi foniatri (lei compreso), che hanno finalmente riconosciuto qualcosa che i belcantisti avevano sempre saputo e cioè la ‘maschera’ è un “vizio orribile”, essendo l’ equivalente della ‘marmitta’ di un motorino, che non amplifica il suono (come ci era stato raccontato dagli stessi foniatri fino a poco tempo fa), ma lo ASSORBE. Ciò posto, è scandaloso che lei adesso riabiliti il concetto di ‘maschera’ (che sembrava avesse ripudiato), facendo rientrare dalla finestra come “consonanza” quello che aveva buttato fuori dalla porta come “risonanza” (e che paradossalmente, occorre ricordare ancora una volta, era stata la foniatria più di un secolo a far entrare trionfalmente nella didattica vocale, spacciandolo per ‘scienza del canto’..)
Sempre grazie ai foniatri, adesso dobbiamo dunque fare i conti con un nuovo sarchiapone, la “consonanza in maschera”, che è una finzione linguistica fuorviante, dato che nessuno mai immaginerebbe che questo termine indichi qualcosa che è il contrario della “risonanza”, e a questo punto non lamentiamoci della fumisteria terminologica che affligge la didattica vocale.

A proposito della ‘neo-maschera’ (ossia la maschera non più ‘risonanziale’, ma ‘consonaziale’) lei scrive:

“La cosiddetta “maschera” indica la localizzazione delle sensazioni vibratorie muscoloscheletriche prodotte da un suono ben impostato e proiettato attraverso la conduzione ossea.”

Dopodiché, rincarando la dose e reintroducendo a tutti gli effetti questo concetto nella didattica vocale, arriva a prescrivere:

“Ponendo l’ apice linguale in posizione retroalveolare come per produrre una /l/, chiudere le labbra e iniziare a produrre un suono e spingere con il polpastrello del pollice in direzione verticale verso l’alto sulla muscolatura sottomentoniera; le sensazioni di vibrazione propriocettiva in “maschera” verranno esaltate.”

Le sensazioni di vibrazioni in ‘maschera’ verranno esaltate?? Ma si rende conto che questa è la logica del “siccome un motore acceso produce calore, allora per accenderlo lo riscaldo”? Siamo quindi alle solite: ancora una volta l’allievo è indotto a cercare il chimerico filone d’oro delle “vibrazioni frontali”, in cui secondo lei consisterebbe la magica “posizione”, cui agognano i cantanti. Addirittura l’ allievo viene invitato a ricorrere a espedienti artificiali per “esaltare le sensazioni di vibrazione propriocettiva in ‘maschera’” (sic) e a questo punto inevitabilmente si ritroverà a spingere la voce. Questo anche se il malcapitato, messo al corrente dello scientifico ‘distinguo’ di cui sopra, non penserà più alla ‘maschera’ come a una cavità di risonanza, ma di ‘consonanza’ (evvivano gli eufemismi!).

Una delle cose che i foniatri come lei non hanno capito, è questa: anche se è stato chiarito che le vibrazioni frontali che il cantante percepisce, non sono segno di risonanza, ma di semplice consonanza ossea, non è a queste vibrazioni che va indirizzata l’attenzione dell’ allievo, altrimenti, ancora una volta, l’ allievo non solo ipertimbrerà la voce per essere sicuro che, cito le sue parole, “il suono sia ben impostato e proiettato”, ma si precluderà la possibilità di trovare qualcosa di molto più prezioso: non più il ‘filone di amianto’ della brillantezza ARTIFICIALE del “suono proiettato attraverso la conduzione ossea”, ma il filone d’oro della brillantezza NATURALE e della morbidezza, che è quella componente del suono, la cui presenza caratterizza la voce di tutti i grandi cantanti storici. Purtroppo con voi foniatri artistici si è sempre alle prese con lo stesso problema: una volta stabilito che un dato espediente tecnico-vocale deve funzionare perché così stabiliscono le vostre teorie fisiologiche e fisico-acustiche, voi lo date per buono e lo imponete, anche se l’ esperienza e il buon senso di chi canta sono lì a smentirne la validità.

La prescrizione del sollevamento dell’ arcata zigomatica nasce, tanto per cambiare, come imitazione (quindi mera applicazione esterna) di un fenomeno che si nota in molti cantanti quando cantano una nota acuta: anche se hanno un’impostazione verticalizzata, come ad esempio Jonas Kaufmann, nelle note acute è come se improvvisamente ‘orizzontalizzassero’ la forma dello spazio di risonanza. Ora nei cantanti di scuola italiana questa ‘orizzontalità’ non è una manovra brusca, attuata in extremis come quella attuata dai cantanti ‘verticalizzati’, ma è la componente strutturale di un modello di spazio di risonanza, concepito come sferico e non come verticale. Il fatto che anche i cantanti ‘verticalizzati’ siano costretti nelle note acute a introdurre questa orizzontalità si spiega con un fatto molto semplice: a generare la brillantezza naturale della voce (che negli acuti diventa ‘squillo’) non è né la ‘maschera’ né la ‘proiezione’ né il ‘suono avanti’, ma è questo ‘asse orizzontale’, che a sua volta non è altro che il segno della presenza nella composizione acustica del suono delle risonanze della bocca, che è orizzontale. Ora, nell’elaborare il concetto di “sollevamento dell’ arcata zigomatica”, i foniatri artistici non hanno capito una cosa fondamentale: QUESTA ORIZZONTALITA’ NON È CREATA ESTERNAMENTE, MA INTERNAMENTE (da cui i concetti belcantistici di ‘sorriso interno’ e di ‘gola larga’), per cui il sollevamento dell’ arcata zigomatica non è altro che il riflesso esterno di questo modellamento interno dello spazio di risonanza. Pertanto, se si parte NON dall’ interno (cioè suscitando un lieve sorriso e lasciando che la gola si ALLARGHI), ma dall’ esterno (cioè sollevando l’arcata zigomatica), ciò che succede è che il suono semplicemente si schiaccia.

Se la prescrizione del sollevamento dell’ arcata zigomatica conserva, anche se alterato, un collegamento con la realtà (rappresentata appunto dalla consapevolezza della componente orizzontale dello spazio di risonanza), totalmente distaccata dalla realtà (e paradossalmente contraddetta proprio dal sollevamento dell’arcata zigomatica) è invece la prescrizione foniatrica della protrusione delle labbra, che rappresenta un esempio dei cortocircuiti logici generati dalla foniatri artistica. La teoria secondo cui la protrusione delle labbra favorirebbe l’ emissione vocale era già stata smentita da tutta la trattatistica del belcanto, ma ciononostante la foniatria artistica, con la sua solita presunzione, l’ ha reintrodotta nella didattica vocale e nel suo articolo lei cerca di legittimarla con questi argomenti, posti a commento di un esercizio vocale, da lei consigliato:

“Dopo aver inspirato lentamente su atteggiamento di pre-sbadiglio, espirare come soffiando lentamente in una cannuccia. Ripetere l’ inspirazione e poi vocalizzare sempre come nella cannuccia. Ripetere variando le altezze tonali. Questo esercizio serve a dare TONO LABIALE mantenendo spazio faringeo utile all’arrotondamento naturale del timbro per abbassamento della terza formante (F3), il cui valore, normalmente tra  2800 e 3600 Hz, è determinato dai movimenti del muscolo orbicolare della bocca: una maggiore PROTRUSIONE LABIALE comporta infatti un abbassamento di F3.”

No, mi scusi, dottore, questo esercizio NON “serve a mantenere spazio faringeo utile all’ arrotondamento naturale del timbro per abbassamento della terza formante” bla bla bla. QUESTO ESERCIZIO SERVE SOLO A NON TROVARE IL VERO SPAZIO DI RISONANZA DEL CANTO E A DISTRUGGERE QUATTRO VOCALI SU SETTE. A parte il fatto che non si capisce come la protrusione delle labbra possa conciliarsi con il sollevamento dell’ arcata zigomatica, di cui è l’ opposto, e neppure perché bisognerebbe “dare tono labiale” (?), è sufficiente il semplice buon senso per farci capire l’ assurdità di una prescrizione del genere. Essa infatti confligge platealmente non solo con la fisiologia, ma anche con la fonetica, le quali entrambe stabiliscono che (nel caso dell’ italiano) per la formazione di ben quattro vocali su sette (cioè la maggioranza) le labbra debbano rimanere distese orizzontalmente e non arrotondate o protruse. Vogliamo allora raccontare una buona volta la vera storia di come e perché è nato l’ espediente farlocco della ‘protrusione delle labbra’? La storia è questa: siamo negli anni trenta/quaranta dell’Ottocento; il sig. Garcia si inventa che tutti i suoni vanno portati avanti sul palato duro. In questo modo le vocali naturalmente ‘orizzontali’ (A, E, I) si schiacciano, venendo loro a mancare il collegamento con lo spazio retrostante, faringeo, che dà rotondità al suono e che tutte le vocali, anche se in misura diversa, devono avere. Per risolvere il problema dello schiacciamento del suono basterebbe ovviamente eliminare la causa, rappresentata appunto dall’ idea strampalata di ‘portare avanti’ il suono, ma la foniatria artistica, com’è il suo solito, preferisce mantenere certe sue trovate farlocche (in questo caso “il suono da portare avanti”) dopodiché, in funzione di queste, inventarsi ulteriori espedienti cervellotici (in questo caso “la protrusione delle labbra”) per compensare lo squilibrio. Ora è lasciando ‘arretrare’ un po’ le vocali orizzontali, che queste possono arrotondarsi senza opacizzarsi e intubarsi (come invece succede con i tubi verticali della foniatria artistica), dato che a garantire la presenza della brillantezza (naturale) è l’ asse orizzontale del ‘sorriso interno’ e questa, detto ‘en passant’, è una delle differenze tra un Caruso e un Kaufmann. Ne consegue che la ‘protrusione delle labbra’, imposta a tutte le vocali, non è il modo per “arrotondare naturalmente (?) il timbro” (parole sue), ma è, molto più banalmente, l’ espediente (foniatrico) per rattoppare il buco (foniatrico), creato dall’idea di portare il suono avanti.

Cosa vogliamo fare a questo punto? Vogliamo inventare un nuovo modo, foniatrico, per fare le vocali? (Domanda retorica come la sua iniziale). Già la “fisiologia applicata”, introdotta dai vocologi nella didattica vocale, è una mera sovrastruttura intellettuale che soffoca la vera fisiologia, sensoriale, del canto, ma in questo caso ci troviamo di fronte a una ‘fisiologia onirica’, una fisiologia che, sulla scia del dr. Frankenstein, stabilisce addirittura un nuovo modo di atteggiare le labbra per formare le vocali. In effetti con i foniatri artistici che si occupano di canto, la sindrome del dr. Frankenstein è sempre in agguato, come dimostrano queste sue surreali prescrizioni:

“La vocalizzazione a LINGUA PROTRUSA e mantenendo stabile la mandibola sulle vocali /aiai/ può essere utile per concentrare l’attenzione sulla stabilità del colore di base per stabilità dello spazio faringeo.” (?!)

Mi faccia capire una cosa: dunque, dopo l’ invenzione delle vocali ‘A’, ‘E’, ‘I’ ‘foniatriche’, cioè fatte con le labbra protruse (invece che distese, come natura comanda), adesso un altro genio della foniatria artistica (chi? Borragan? Titze?) si è per caso inventato, dopo le amenità della ‘mascherina’ e della cannuccia, anche la storiella che, facendo esercizi vocali con la lingua impossibilitata a muoversi, poi si canterebbe meglio (che sarebbe come dire che esercitandosi a camminare sulle ginocchia o con i piedi ingessati, poi si cammina meglio…)??

La spiegazione ‘scientifica’ del perché, data da lei, sarebbe questa:

“Gli esercizi a lingua protrusa in scale e sequenze vocaliche alternate /a-i/, sono utili per creare coscienza nell’indipendenza tra le strutture fonatorie e quelle articolatorie, rilassare lingua e mandibola, concentrarsi nel mantenere una posizione laringea verticale stabile durante l’articolazione.”

In altre parole, BLOCCANDO un elemento fondamentale, qual è la lingua, di una complessa sinergia naturale, uno dovrebbe diventare cosciente della sua indipendenza da altri elementi altrettanto fondamentali? In altre parole, volendo seguire la logica di questa prescrizione, se si saltella su una sola gamba per mezzora, poi si diventerebbe coscienti dell’ indipendenza di questa gamba dall’ altra e in virtù di ciò ci si ritroverebbe a camminare meglio???
MA CHE SCIENZA E’ QUESTA?

Come lei sa, Karl Popper ha introdotto nella conoscenza il principio di falsificabilità, cioè l’ idea che se una determinata scienza è così distaccata dalla realtà da non poter essere smentita da test e verifiche, allora significa che NON è scienza.
Nel caso della foniatra artistica, alias vocologia, ci troviamo davanti al caso non di una non-scienza perché non falsificabile o di una non-scienza perché falsificata, ma di una sedicente scienza BENCHE’ falsificata, cioè di una scienza che è già stata smentita in partenza dai FATTI (evidenziati dal banale BUON SENSO), ma che ciononostante pretende di essere considerata ancora scienza. Volendo usare un ossimoro, potremmo anche dire che la vocologia ha inaugurato la nascita delle ‘scienze antisperimentali’. Le dirò un’ altra cosa: sentendo il termine “foniatra artistico”, avevo sempre pensato che l’ aggettivo “artistico” si riferisse all’ OGGETTO dello studio, cioè l’ arte vocale. Incomincia a venirmi il fondato sospetto che quell’ aggettivo, “artistico”, si riferisca invece al SOGGETTO dello studio, cioè il foniatra, divenuto ‘creativo’ nell’ elaborare le più cervellotiche teorie sul canto, tutte all’ insegna della più surreale libertà dalla logica e dalla realtà (endiadi).

Lei poi prosegue, scrivendo:

“Parlare di muscoli non complica la vita agli allievi; e sicuramente non è al muscolo cricotiroideo o tiroaritenoideo che penseranno quando canteranno, ma a non sollevare la laringe, e a ‘mettere il suono in gola’ e ‘portarlo avanti’.”

Parlare di muscoli non complica la vita agli allievi? Eccome se la complica! Per l’ apprendimento del canto focalizzare l’ attenzione sui muscoli è esattamente come prendere un ago e mettere a contatto la punta con un palloncino. C’ è voluto più di un secolo di esperimenti foniatrici, fatti sulla pelle dei cantanti, per prendere atto della falsità di questa teoria e, giusto per citare qualcuno degli esperimenti falliti di cui è costellata la storia della foniatria artistica, basti pensare, per l’appunto, all’ idea farlocca della ‘maschera nasale’ e ai disastri fatti dal metodo ‘super-foniatrico’ dell’ affondo, basato sull’ idea di abbassare direttamente la laringe, alzare direttamente il palato molle, mettere in tensione direttamente le corde vocali e bloccare la risalita del diaframma cantando.

Lei si premura di precisare che “sicuramente non è al muscolo cricotiroideo o tiroaritenoideo che gli allievi di canto dovranno pensare quando canteranno, ma a non sollevare la laringe, e a ‘mettere il suono in gola’ e ‘portarlo avanti’.”
Per la verità è proprio sul pensare al muscolo cricotiroideo e al muscolo tiroaritenoideo (e, ove non bastasse, persino alle false corde vocali!) che si basano molti metodi di canto benedetti ufficialmente dalla foniatria artistica (vedasi l’ EVT alias Voicecraft), ma sorvoliamo pure su questo ‘dettaglio’. Quello che lei non capisce, è che sono sufficienti le sue tre prescrizioni (“non sollevare la laringe”, “mettere il suono in gola” e “portarlo avanti”) per OSTACOLARE il canto, e sa perché? Perché il pensare a “non sollevare la laringe” è sempre un pensare alla laringe, e questo si iscrive in un tipo di controllo diretto, esclusivo e localizzato della voce, che irrigidisce e inibisce il cantante, mentre invece la consapevolezza che crea il canto è una consapevolezza sensoriale, globale ed inclusiva e ha la natura di un autocontrollo passivo e non di un controllo attivo.

Mi dica: lei parlando pensa forse alla laringe? Immagino di no, e la stessa cosa deve avvenire cantando ovvero: grazie al giusto respiro e alla conseguente giusta apertura della gola, LA LARINGE SEMPLICEMENTE SCOMPARE DALL’ ORIZZONTE PERCETTIVO DEL CANTANTE, il che significa che il cantante non la sente e non la deve sentire. Non la deve sentire né in posizione alta, né in posizione bassa e neppure in posizione media (come invece farnetica comicamente Vanna Estill) e questo è il motivo per cui nei trattati classici del belcanto la laringe viene totalmente ignorata.

Vede, non è certo riducendo il numero dei muscoli a cui pensare cantando, che può essere rimosso il peccato originale, ossia l’ aporia di partenza della didattica vocale foniatrica, basata sul controllo muscolare diretto e sulle localizzazioni anatomiche. Un esempio di aporia, ovvero di vicolo cieco, lo ha dato lei stesso dicendo che il cantante dovrebbe pensare a “mettere il suono in gola” e “portarlo avanti”, due operazioni che sono fuorvianti e incompatibili tra loro, come lo sono tutte le operazioni pseudo-tecniche, basate su localizzazioni anatomiche. In effetti, pensando in termini di localizzazioni, accade che la natura del canto da dinamica e fluida diventa statica e ‘solida’, e questi due opposti, “gola” e “avanti” semplicemente non si fonderanno mai, ma rimarranno ‘separati in casa’, anche perché il suono non è un oggetto per il quale si possa decidere: “lo metto in gola e poi lo porto avanti”. Quindi o prevarrà la gola e il suono sarà sfocato, o prevarrà l’avanti e il suono sarà schiacciato.

La verità è che, per quanto riguarda la dimensione motoria del corpo umano, i muscoli in realtà sono solo un’ astrazione scientifica e non hanno nulla a che fare con le vere prime cause sia del cantare, sia del camminare, prime cause che sono date da GESTI naturali. È evocando il gesto del ‘dire’ e del ‘respirare’ che vengono suscitati i rispettivi processi dinamici, processi che, ESSENDO ENTRAMBI NATURALI, possono fondersi tra loro, generando quel fenomeno che chiamiamo ‘canto’. Ecco che allora il “sollevamento dell’ arcata zigomatica” e “il suono in maschera” appaiono per quello che realmente sono: meri EFFETTI esterni illusori, suscitati da una causa interna che non ha nulla a che fare né con l’ idea di sollevare intenzionalmente l’arcata zigomatica né con quella di mettere intenzionalmente il suono ‘in maschera’. Questo perché le azioni muscolari dirette e localizzate sono atti grossolani, che, in quanto tali, hanno la stessa probabilità di creare il sottile e perfetto equilibrio sui cui si basa il canto di alto livello, che ha il domatore di riuscire a insegnare a un elefante ad eseguire il numero acrobatico, raffigurato nell’immagine di questo articolo.

Antonio Juvarra

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