Staatsorchester Stuttgart 2023/24 – 5. Sinfoniekonzert

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Foto ©Staatsorchester Stuttgart/FB

Sul podio della Staatsorchester Stuttgart per il quinto concerto della stagione sinfonica in abbonamento alla Liederhalle era il quarantacinquenne lettone Ainārs Rubiķis, che ha studiato tra gli altri con il suo illustre compatriota Mariss Jansons e dopo la vittoria alla Mahler Competition di Bamberg del 2010 e al Young Conductors Award dei Salzburger Festspiele l’ anno seguente ha diretto in sedi importanti come la Lyiric Opera di Chicago ed è stato dal 2018 al 2022 Generalmusikdirektor della Komosche Oper Berlin. Da quel che si è ascoltato in questa occasione, si tratta di un musicista di buon istinto e personalità, chiaro nel gesto e capace di ottenere dall’ orchestra risposte efficaci alle sue indicazioni. La buona preparazione tecnica del direttore di Riga si è notata nella sicurezza con cui ha dominato la struttura complessa e dal tono quasi improvvisativo di Felder, partitura per orchestra d’ archi scritta nel 1994 da Berhhard Lang, compositore austriaco che qui a Stuttgart ha recentemente presnetato con grande successo la sua ultima opera, Dora.

La prima parte del programma continuava con la presenza solistica di Victor Julien-Laferrière, trentatreenne violoncellista parigino vincitore nel 2017 del prestigioso Concours Reine Elisabeth che gli ha aperto le porte di una bella carriera internazionale documentata da dieci album, tra il quali il più apprezzato è stato quello registrato nel 2016 per l’ etichetta Mirare contenente la Prima Sonata op. 38 di Brahms e le Sonate di Rachmaninov e Debussy, insignito di tre importanti riconoscimenti assegnati dalle riviste musicali francesi più importanti, il Diapason d’ Or, il Telérama ffff della riviata omonima e il premio Choc de Classica. Per la sua esibizione alla Liederhalle, il giovane cellista ha scelto il Concerto N° 1 op. 33 di Camille Saint-Saëns. Come nel caso del Primo e del Terzo Concerto per violino, entrambi scritti per il leggendario Pablo de Sarasate, anche il primo Concerto per violoncello e orchestra fu ideato dal compositore parigino in base alle caratteristiche di un grande virtuoso come Auguste Tolbecque, strumentista che fu anche un pioniere nell’ impiego in concerto della viola da gamba e nella fabbricazione e utilizzo di strumenti costruiti in base alla prassi storicamente informata. La partitura fu ideata da Saint-Saëns quasi come un omaggio alla forma ciclica messa a punto da Liszt e da lui stesso utilizzata successivamente anche in altri lavori come ad esempio la Sinfonia N° 3. Victor Julien-Laferrière ha saputo sottolineare in maniera davvero eccellente gli aspetti estremamente virtuosistici su cui è basata la scrittura della parte solistica, con un fraseggio estremamente nervoso e mobile che metteva pienamente in evidenza il carattere quasi declamatorio che il compositore ha voluto conferire agli assoli dello strumento, a partire dall’ esposizione del tema iniziale, che entra subito dopo un secco accordo introduttivo dell’ orchestra e viene poi continuamente ripreso nel corso dei tre tempi in cui il Concerto è strutturato e che si susseguono senza interruzioni. Due bis bachiani hanno suggellato il successo di questo promettente giovane virtuoso.

Dopo la pausa, seguiva la Sinfonia nº 3 (H. 186) detta anche Symphonie Liturgique di Arthur Honegger. Composto nel 1945 – 46 su incarico della fondazione culturale Pro Helvetia, il lavoro fu eseguito per la prima volta a Zürich il 17 agosto 1946 dall’ Orchestre de la Suisse Romande sotto la direzione di Charles Münch. Musicalmente, l’ atmosfera complessiva presenta parecchie analogie con la Sinfonia da Requiem di Benjamin Britten, scritta nel 1940. La partitura del musicista svizzero è però profondamente intrisa di un senso di ritualità religiosa, evidentissimo a partire dai sottotitoli apposti ai tre movimenti, che si richiamano esplicitamente alla liturgia funebre. Forse la definizione più appropriata è quella lasciataci dal critico francese Bernard Gavoty, amico personale di Honegger, che descrisse l’ opera come “un dramma in tre atti, una preghiera informe pronunciata da un mondo in tumulto”. I tre movimenti dell’ opera esprimono chiaramente un percorso catartico che dall’ atmosfera tragica del Dies Irae iniziale con i suoi ritmi puntati degli ottoni passando poi allo struggente lirismo del De profundis clamavi con il bellissimo tema intonato dai violoncelli sulle triadi perfette in movimento parallelo, trova la sua trasfigurazione nel Dona nobis pacem conclusivo che dall’ atmosfera tragica della sezione iniziale, culmina nel commosso Adagio in cui il violoncello e eil violino, sullo sfondo di un’ orchestra timbricamente rarefatta, intonano una struggente melodia di commiato con l’ arabesco dell’ ottavino a simboleggiare, come lo stesso Honegger diceva, l’ uccello della pace che, come la ccolomba biblica dopo il Diluvio Universale, intona il suo canto dinanzi alle rovine. La lettura di Ainārs Rubiķis si faceva apprezzare per l’ attenta realizzazione delle dinamiche e il tono sobriamente commosso del movimento finale, realizzato alla perfezione dalla Staatsorchester Stuttgart. Successo assai vivo.

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