Staatsoper Stuttgart – Die sieben Todsünden/Seven Heavenly Sins

Foto ©Bernhard Weis

Con la nuova produzione di Die sieben Todsünden, balletto con voci su testo di Bertolt Brecht musicato da Kurt Weill, la Staatsoper Stuttgart continua la sua efficace politica volta alla ricerca di nuove fasce di pubblico. L’ impostazione generale dell’ allestimento era infatti chiaramente finalizzata ad attrarre un tipo di spettatori che abitualmente frequentano poco le serate operistiche. Lo spettacolo, coprodotto insieme allo Staatstheater Stuttgart e allo Stuttgarter Ballett, era evidentemente attesissimo dal pubblico visto che i biglietti per le quattro repliche sono stati tutti venduti con diverse settimane di anticipo e che la sera della prima nel foyer della Schauspielhaus c’ erano molte persone che tentavano di procurarsi un posto per assistere alla recita. Il pubblico non è certamente rimasto deluso nelle sue aspettative visto che la serata si è conclusa con intensissimi e prolungati applausi rivolti a tutta la compagnia di attori, cantanti e al team registico. La curiosità maggiore per lo spettatore operistico tradizionale era senz’ altro quella della presenza di Merrill Beth Nisker, in arte Peaches, cinquantaduenne compositrice, cantante e producer canadese di musica electroclash caratterizzata da una sessualità ostentata e spesso in chave burlesque, che insieme a Anna-Sophie Mahler ha firmato anche la regia complessiva della produzione. L’ idea di accostare in una serata il pezzo di Brecht e Weill con la musica di Peaches era sicuramente non banale. Anche Die sieben Todsünden, balletto con canto in sette parti andato in scena per la prima volta al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi il 12 giugno 1933 con Caspar Neher e Lotte Lenya sotto la direzione di Maurice Abravanel (direttore americano che fu uno dei primi divulgatori della musica di Mahler, del quale incise per la Vanguard la prima edizione discografica integrale delle Sinfonie) è un testo il cui messaggio fondamentale è quello di un’amara ironia che veicola un messaggio di critica sociale spietata. La verità amara presa di mira dai due autori era la struttura della società di quel tempo e il messaggio di base attuale ancora oggi: per fare denaro bisogna mercificare se stessi. Castigat mores ma non ridendo, viene presa di mira la società capitalistica americana, spietata nei riguardi della donna, spesso trattata come puro oggetto di lucro e piacere, e dei piccoli borghesi cui, agli inizi del secolo, aveva già pensato Gorkij. Opera moraleggiante dunque nella sua immoralità e la sferzata della morale, Die sieben Todsünden ha il pregio grandissimo di far riflettere, di mettere in luce le contraddizioni della società così bene descritte dal messaggio artistico trasmesso dai due autori che, anche nella nostra epoca, possiede una forza icastica sicuramente molto notevole.

Foto ©Bernhard Weis

In questa produzione, il balletto brechtiano costituiva la prima parte di una serata che si articolava in quattro scene. La regia rappresentava le due raffigurazioni di Anna, quella vocale impersonata da Peaches e quella scenica affidata a Josephine Köhler, in un’ ambientazione che descriveva un ring pugilistico a simboleggiare con chiara evidenza il rapporto conflittuale tra i due sessi, con la Staatsorchester Stuttgart, diretta con grande efficacia e proprietà stilistica da Stefan Schreiber, disposta ai lati del quadrato. Seguiva un lungo monologo di riflessione sugli esiti della lotta, quindi la scena si mutava in una specie di arena per l’ esibizione di Peaches, che veniva a costituire il vero punto focale dello spettacolo. La cantante canadese ha interpretato alcuni fra i suoi hits più popolari come Fuck the pain away, in un vero e proprio One-Woman-Show aggressivo, dai contenuti espliciti e con allusioni sessuali abbastanza spericolate. Tutto molto coinvolgente, questo non si può negare, ma il contrasto esasperato con la prima parte mi ha lasciato leggermente perplesso anche se la bravura carismatica di Peaches era decisamente avvincente nella sua forza evocativa. La conclusione era affidata a una coreografia di Melinda Witham sulle note di The unanswered question di Charles Ives.

Foto ©Bernhard Weis

Tutto molto interessante, in una realizzazione musicale e scenica di altissima professionalità da parte di tutti gli artisti impegnati nello spettacolo. Che poi da questi quattro quadri risultasse un’ unità coerente di concezione e un messaggio finale complessivo, questo non potrei dirlo con sicurezza. La sensazione che rimaneva alla fine della serata era quella di una produzione in cui mancava un carattere unitario, con quattro belle situazioni sceniche realizzate in maniera eccellente che però non si fondevano in un autentico Gesamtkunstwerk. Il pubblico ha comunque apprezzato molto la serata: forse gli appassionati d’ opera sono usciti leggermente sconcertati, al contrario i fans di Peaches hanno dimostrato tutto il loro entusiasmo con intensissime ovazioni alla cantante canadese. In ogni caso, la produzione valeva una visita per chi aveva voglia di ascoltare e vedere qualcosa di fuori dal comune.

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