Musikfest Stuttgart 2024 – Philippe Herreweghe

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Foto ©Holger Schneider

Uno tra gli appuntamenti più attesi nel cartellone della Musikfest era sicuramente il concerto di Philippe Herreweghe, che ha portato alla Stiftskirche il suo Collegium Vocale Gent, da lui fondato nel 1970 e insieme a cui ha scritto pagine decisive nella storia interpretativa di queste musiche, sia dal vivo che in una cospicua attività discografica. Ho ascoltato Herreweghe per la prima volta nel 1983, quando venne alla Fenice insieme ai suoi complessi parigini de La Chapelle Royale per una produzione del capolavoro di Rameau Les Indes Galantes con la regia di Pierluigi Pizzi. Fu una recita di una raffinatezza ed eleganza che non ho mai dimenticato e da allora ho sempre seguito con interesse l’ attività di questo musicista, filologo e studioso di preparazione solida oltre che interprete sempre alla ricerca di soluzioni inventive e originali. Per la sua esibizione alla Musikfest, il musicista belga ha presentato la Messa in si minore BWV 232, uno tra i vertici assoluti dell’ arte bachiana, capolavoro enigmatico sia per quanto riguarda la genesi che la destinazione d’ uso. Come ormai pressochè definitivamente accertato dalla musicologia moderna, quasi tutti i 25 numeri di cui consta la partitura non sono pagine originali ma parodie o adattamenti più o meno rilevanti di brani presi da composizioni precedenti. Tenendo conto di ciò, tanto più appare mirabile l’ opera bachiana, proprio considerando che essa è tutta o in gran parte il risultato di un montaggio razionale e perfettamente equilibrato, tanto che sul piano degli esiti musicali la Messa nella sua struttura di insieme s’ impone come creazione originale e unica nella sua perfezione di impianto. La composizione è una di quelle che più apertamente manifestano, nella sua quasi esasperata monumentalità e nella sua irripetibile polivalenza, la concordia delle idee, l’ armonia dei gesti, il razionale patto di alleanza che compone ogni interna contraddizione. Nel dibattito portato avanti in questi ultimi anni dagli studiosi bachiani, il problema centrale delle discussioni è appunto quello della concezione di base, ossia se Bach abbia voluto scrivere una composizione dedicata alla liturgia cattolica oppure di tono ecumenico, quasi una conciliazione tra le fedi.

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Foto ©Holger Schneiser

Come era lecito attendersi, abbiamo ascoltato un’ esecuzione davvero superba di questa partitura straordinaria. Quella del settantasettenne musicista fiammingo è  un’ interpretazione condotta con la trasparenza, la chiarezza di analisi e la fludidità espositiva che vengono dalla sua pluridecennale frequentazione di questa musica. Bellezza di suono orchestrale, assoluta perfezione nell’ amalgama dei passi corali, perfetta lucidità e coerenza nell’ esporre le complesse trame polifoniche dei vari brani sono le caratteristiche su cui si basa la lettura di Herreweghe, che ha raggiunto i migliori risultati nelle pagine più liricamente meditative come il Kyrie e l’ Agnus Dei. Nelle pagine di complessa struttura contrappuntistica come il Credo, la lucidità analitica messa in mostra da Herreweghe nella realizzazione delle trame sonore si imponeva alla nostra sensibilità di ascoltatori per l’ autorevolezza e coerenza di concezione, oltre che per la splendida prova dei complessi del Collegium Vocale Gent, che hanno realizzato sino all’ ultimo dettaglio in maniera ideale le intenzioni del direttore, con una bellezza timbrica e luminosità di impasti sonori assolutamente di altissimo livello.

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Foto ©Holger Schneider

Di livello complessivamente buono è stata anche la prestazione dei quattro solisti. La migliore prestazione è stata sicuramente quella del soprano Dorothee Mields, originaria di Gelsenkirchen, allieva di Julia Hamari e stimatissima per la sua stretta collaborazione con i migliori specialisti del barocco e rinascimentale. Conosco diversi dischi di questa cantante e l’ ho ascoltata molte volte a Stuttgart durante le stagioni della Bachakademie, con cui la Mields collabora assiduamente. Anche in questo concerto la Mields ha messo in mostra i pregi di una voce di bel timbro, luminosa e pulita nell’ emissione, unita a un fraseggio intenso e concentrato e a una notevole tecnica nell’ esecuzione dei passi virtuosistici. L’ interprete è misurata, elegante, stilisticamente molto preparata e attenta a sottolineare le sfumature del testo. In sintesi, una cantante di classe davvero molto notevole, sicuramente tra le migliori che si possano ascoltare oggi in questo repertorio. Ottima anche la prestazione del secondo soprano, la quarantatreenne praghese Hana Blažíková, dall’ emissione molto omogenea e ben controllata. Nonostante io personalmente ami poco i controtenori, va riconosciuto che Alex Potter canta con una bella omogeneità timbrica in tutta la gamma, cosa non molto frequente nelle voci di questo registro, e nell’ Agnus Dei ha trovato spunti di fraseggio molto efficaci oltre a dinamiche di buona raffinatezza. Il tenore Tilman Lichdi era vocalmente abbastanza interessante a livello di consapevolezza stilistica e personalità di fraseggio, messa in mostra soprattutto nell’ esecuzione del Benedictus qui venit dal Sanctus. Anche Johannes Kammler, giovane baritono bavarese che qui alla Staatsoper Stuttgart si è segnalato per diverse belle prove nella stagione in corso e in quelle più recenti, ha impressionato positivamente per la cura del fraseggio e la raffinatezza della dizione. Il pubblico che gremiva la Stiftskirche sino all’ ultimo posto disponibile ha reagito con applausi entusuastici a questa serata di grande musica.

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