Antonio Juvarra – I “registri” vocali e i “meccanismi” laringei

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Ricevo e pubblico il consueto articolo mensile di Antonio Juvarra. Questa volta, il docente veronese affronta per un ulteriore approfondimento il problema della terminologia nel campo della foniatria artistica. Buona lettura a tutti.

I “REGISTRI” VOCALI DEL BELCANTO E I “MECCANISMI” LARINGEI DELLA FONIATRIA

Nella sua smania classificatoria, che investe tutti i fenomeni della voce cantata, la foniatria artistica è giunta recentemente a proporre una quadripartizione dell’ estensione vocale, nell’ ambito della quale il termine tradizionale ‘registro’ è stato sostituito col termine ‘meccanismo’, per cui i registri-meccanismi della voce non sarebbero più due, ma appunto quattro. Se facciamo riferimento ai trattati classici del belcanto (Tosi e Mancini), troviamo che la voce anticamente era suddivisa in soli due settori, denominati “registro di petto” e “registro di testa o di falsetto”. A proposito di quest’ ultimo termine, ‘falsetto’, è bene ricordare che nei trattati di questi due belcantisti, entrambi castrati, che si possono considerare i ‘classici’ del belcanto, esso non indica la modalità fonatoria di chi canta in falsetto, ma indica genericamente la zona acuta della voce e in questo senso esso è utilizzato (per quanto “impropriamente”, come osserverà giustamente Mengozzi nel Metodo del Conservatorio di Parigi) come sinonimo di “registro di testa”. Che questo fosse il significato da loro attribuito al termine ‘falsetto’, appare subito evidente, se solo pensiamo che sarebbe alquanto improbabile (e paradossale) che un castrato, come lo erano Tosi e Mancini, prescrivesse di cantare gli acuti in falsetto. Lo stesso paradosso si evidenzia se interpretiamo alla lettera la locuzione “registro di falsetto”, che troviamo utilizzata nello stesso senso persino nel trattato di canto, scritto da quel cantante che fino a poco tempo fa era considerato addirittura l’inventore del Do di petto, e mi riferisco al tenore ottocentesco Gilbert Duprez.

Di questa disinvoltura o pigrizia terminologica dei belcantisti occorre tener conto per capire il significato non solo del termine ‘falsetto’, ma anche di locuzioni come “registro di petto” e “registro di testa”, significato che, come vedremo, anche in questo caso NON è quello che verrà attribuito loro dalla foniatria a partire dall’ Ottocento. Nell’ Ottocento alcuni trattatisti aggiungeranno poi, per le voci femminili, un terzo registro, chiamato ‘medio’ o, più impropriamente ‘misto’, posto tra il registro di petto e il registro di testa, mentre recentemente, nel Duemila, si è arrivati appunto a proporre una quadripartizione che comprende: un “Meccanismo 0”, un “Meccanismo 1”, un “Meccanismo 2” e un “Meccanismo 3”.  Il criterio di suddivisione di questi quattro meccanismi si basa sulla valutazione del diverso tipo di vibrazione cordale che caratterizza ciascun meccanismo, così com’ è misurato dall’analisi elettroglottografica (EGG). Così, ad esempio, il Meccanismo 0 (M0) si caratterizza endoscopicamente per avere le pliche vocali molto accorciate, spesse e lasse, mentre il Meccanismo 1 (M1) si caratterizza per una vibrazione cordale a tutto spessore, alla quale partecipano anche gli strati profondi. Nel Meccanismo 2 (M2) la corda non vibra a tutto spessore, ma solo nella componente più superficiale e nel Meccanismo 3 (M3) le corde vocali sono estremamente tese e sottili, a tal punto che spesso il contatto cordale manca e il suono viene emesso tramite un meccanismo ‘ad ancia’.

A questo punto la questione che si pone è la seguente: considerato che l’ ambizione di quel settore della foniatria che si occupa di voce cantata è offrire il proprio contributo alla disciplina della didattica vocale, e dando per scientifico il paradigma dei quattro meccanismi laringei che governerebbero i diversi settori tonali della voce, in che modo questo paradigma può essere utile all’ apprendimento del canto?
Nel suo articolo dal titolo ‘La terminologia didattica dei registri vocali e i meccanismi laringei primari ad essi soggiacenti’ il foniatra Franco Fussi scrive:

“La gestione dell’intera estensione di una voce implica differenti adattamenti dell’ apparato vocale che occupano ambiti tonali con caratteristiche timbriche percepibili e differenziate a cui è stato assegnato il nome di registri. (…..) Alcune definizioni del termine hanno a che fare maggiormente con il modo in cui lavora la sorgente laringea (pensiamo ad es ai termini pieno e falsetto), mentre altre includono l’ azione delle cavità di risonanza (pensiamo ai termini aperto e coperto)  o le sensazioni caratteristiche degli stimoli propriocettivi osteomuscolari avvertiti dal cantante in alcuni distretti corporei (pensiamo ad esempio ai termini petto e testa). Inoltre, sono a volte usati termini simili per descrivere fenomeni diversi. Tutto ciò ha generato grande confusione nell’applicazione del termine. Per disambiguare il problema dei registri è necessario partire dal concetto di meccanismo vibratorio laringeo per descrivere le diverse configurazioni che il vibratore laringeo mostra lungo una estensione vocale. L’ elettroglottografia (EGG) è una tecnica appropriata a focalizzare l’ attenzione nell’ambito della sorgente laringea, in quanto basata sul monitoraggio della conduttanza tra le corde vocali durante la loro vibrazione. (….) Sappiamo dalla fisiologia che i muscoli tiroaritenoidei/cricoaritenoidei/interaritenoidei hanno azione compattante i bordi mentre i cricotiroidei, allungando la corda, riducono la massa e aumentano l’ area di contatto, destabilizzando il compattamento e facilitando l’ apertura.”

Purtroppo tutto il discorso di Fussi (e della foniatria artistica) si basa su un presupposto che viene dato per scontato, mentre in realtà rappresenta un perfetto ‘adynaton’ ovvero rappresenta un equivalente del famoso teorema ruspante “se mia nonna avesse le ruote, allora sarebbe una carriola”. In altre parole, è incredibile che la foniatria artistica, come disciplina con ambizioni scientifiche, non abbia ancora preso atto di un dato strutturale, fisiologico e, questo sì, scientifico, che è il seguente: noi non disponiamo della capacità di controllare direttamente le corde vocali, dato che la fonazione (parlata e cantata) avviene per controllo di tipo mentale-immaginativo e non meccanico-muscolare. Motivo per cui tutto il discorso riguardante “l’azione compattante dei bordi, svolta dai muscoli tiroaritenoidei/cricoaritenoidei/interaritenoidei” ecc. ecc. rimane una pura astrazione intellettuale, nel senso che obiettivamente, cioè scientificamente, non può tradursi in nessuna azione pratica di controllo effettivo. Analogamente l’ operazione pseudo-tecnica a cui accenna Fussi nel suo articolo (e che è un derivato delle teorie fantavocali di Jo Estill) ossia la contrazione volontaria dello sfintere ariepiglottico finalizzata ad aumentare la brillantezza, lo smalto e quindi l’ udibilità della voce, è solo mera UTOPIA MECCANICISTICA. Questo per il semplice motivo che l’ essere umano non dispone della percezione e tanto meno del controllo diretto di questa parte del ‘vocal tract’. Da questo punto di vista il fatto di non lasciarsi sfiorare dal dubbio su come (in mancanza della nozione di ‘sfintere ariepiglottico’) la scuola del belcanto abbia potuto ciononostante formare nell’ arco di tre secoli dei cantanti, che sono stati i più fulgidi esempi di squillo e lucentezza vocale nella storia del canto, si può considerare come l’ennesima dimostrazione dell’ ottusa arroganza di chi, in primis Jo Estill, ha concepito questo monstrum. Farsi visitare dal sospetto che nel belcanto fossero del tutto diversi i mezzi utilizzati per conseguire questo mirabile risultato acustico, comportava forse il possesso di un acume intellettuale troppo elevato oppure (com’è più probabile) bastava semplicemente un po’ più di umiltà, di buon senso e di contatto con la realtà?

La seconda operazione suggerita da Fussi per “gestire l’ estensione della voce” non rappresenta di per sé un’ impossibilità fisiologica come la precedente, ossia la fantomatica “contrazione dello sfintere ariepiglottico”, tuttavia proprio il suo accoppiamento col ‘monstrum’ sopra citato è sufficiente per farne una manovra rozzamente meccanicistica, che non può a sua volta non generare distorsione acustica e risonanza forzata. Scrive in proposito Fussi:

“Se alla riduzione dello spazio ariepiglottico che dona brillantezza e penetranza al timbro viene aggiunto un ampliamento dello spazio ipofaringeo e orofaringeo si ottiene una concentrazione del rinforzo armonico superiore più intenso ma ristretto ad una gamma compresa tra 2500-3000 Hz detta formante del cantante lirico che fa percepire il classico timbro dell’ impostazione del cantante lirico.”

Ora l’ ampliamento dello spazio ipofaringeo e orofaringeo, che non sarebbe altro che la tradizionale ‘gola aperta’, si può e si deve realizzare indirettamente con la distensione del respiro (che è un atto olistico e non meccanico), ma questo ampliamento evidentemente non può conciliarsi e coesistere col suo opposto, rappresentato dalla chimerica contrazione dello sfintere ariepiglottico, per cui alla fine il risultato sarà l’ apertura meccanica dello spazio faringeo, ciò che determina automaticamente l’intubamento della voce.

Il discorso di Fussi era partito dall’ affermazione secondo cui l’introduzione del “concetto di meccanismo vibratorio laringeo per descrivere le diverse configurazioni che il vibratore laringeo mostra lungo una estensione vocale” è un modo per “disambiguare” la confusione generata dall’ applicazione del termine “all’ azione delle cavità di risonanza (‘aperto’ e ‘coperto’) o alle sensazioni caratteristiche degli stimoli propriocettivi osteomuscolari avvertiti, dal cantante in alcuni distretti corporei (‘petto’ e ‘testa’)”, ma su questo occorre fare un’opera di chiarificazione ulteriore. In realtà i due termini “petto” e “testa” (a conferma della disinvoltura terminologica dei belcantisti) vengono usate dai due citati classici del belcanto, Tosi e Mancini, senza mai far riferimento alle rispettive localizzazioni vibratorie, che pure sono quelle da cui anticamente avevano preso il nome. In altre parole, nei due classici del belcanto sopra citati l’utilizzo di questi due termini, “petto” e “testa”, è ‘neutro’, nel senso che prescinde dal loro significato letterale originario, esattamente come, al giorno d’ oggi, possiamo dire “metti la freccia” per indicare un cambio di direzione di marcia dell’ automobile, senza per questo fare alcun riferimento alle frecce reali, cioè a quelle bacchette metalliche che fino agli anni cinquanta del Novecento venivano effettivamente fatte fuoriuscire a scatto dalla fiancata della carrozzeria per segnalare un cambio di direzione. Di conseguenza nei trattati di questi due autori non si trova un solo passo, dove si invitino gli allievi a percepire o suscitare le risonanze (ora divenute “consonanze”) nel petto o nella testa come mezzo per migliorare il suono. Ad attribuire ai due registri belcantistici il significato di localizzazione vibratoria NON sono stati quindi i belcantisti, ma sono stati i foniatri dell’ Ottocento, e dall’ assolutizzazione della dimensione vocale del ‘petto’ e della dimensione vocale della ‘testa’ sono scaturite addirittura due tecniche vocali di segno opposto, ma accomunate dallo stesso DNA foniatrico, e che sono, rispettivamente, l”affondo’ e la ‘maschera’. Per quanto riguarda invece l’ interpretazione del registro ‘di petto’ come apertura fonetica delle vocali, e del registro ‘di testa’ come chiusura fonetica delle vocali, si tratta di una (giusta) acquisizione relativamente recente (prima metà dell’ Ottocento), di cui per altro Tosi aveva già avuto l’ intuizione, quando nel suo trattato scrive che è possibile riconoscere il registro di testa dal fatto che cantando una nota acuta, il suono risulterà più facile e fluido con la vocale ‘I’ (vocale foneticamente chiusa) che con la vocale ‘A’ (vocale foneticamente aperta).

Arrivati a questo punto, il problema fondamentale, che è di tipo tecnico-vocale, e cioè come tradurre in indicazioni pratiche, concrete, tutta la teorizzazione scientifica dei quattro meccanismi cordali della voce cantata, è però ancora tutto da risolvere e i due mondi (quello della scienza e quello della didattica vocale) rischiano di rimanere degli universi paralleli senza nessun punto di contatto tra loro. In effetti, ai fini dell’ apprendimento del passaggio di registro, a che cosa può servire a un cantante sapere che la nota grave che sta cantando corrisponde a un certo segnale EGG e che per salire alla zona acuta dovrà fare in modo che si riduca? La risposta è, ovviamente e semplicemente: a NULLA. Ecco allora entrare in scena il gioco delle tre carte ‘scientifico’ ossia: siccome un essere umano non può utilizzare le informazioni fornite dall’ analisi elettroglottografica (essendo per l’appunto un essere umano e non un robot), occorre fare uso di un espediente che faccia da ponte di collegamento tra la dimensione umana della sensorialità corporea e quella scientifica delle misurazioni astratte. Questo espediente è dato dall’ uso degli AGGETTIVI. Il che significa che pensare di passare da un meccanismo laringeo con segnale EGG x a un meccanismo laringeo con segnale EGG y non mi dice nulla, mentre invece pensare di passare da un meccanismo PESANTE a uno LEGGERO, oppure da un meccanismo SPESSO a uno SOTTILE già incomincia a dirmi qualcosa, ma questo qualcosa mi è suggerito non dal sostantivo ‘meccanismo’, ma dall’ aggettivo che ad esso è associato. Non solo : in questo modo verranno meno quelle caratteristiche di precisione, che erano quelle per cui la foniatria artistica si era accreditata come una disciplina più affidabile rispetto alla didattica vocale cosiddetta ‘empirica’. Questo giochino, assai poco ‘scientifico’, è lo stesso già usato dalla Estill quando, dopo aver dispiegato tutte le sue supercazzole foniatrico-tecnologiche a base di contrazione dello sfintere ariepiglottico, retrazione delle false corde, riduzione della massa cordale ecc. ecc., poi all’ atto pratico si vede costretta (nonostante l’ esistenza di “tecniche come elettromiografia, elettroglottografia, analisi del segnale vocale, endoscopia laringea, misurazioni acustiche e videostroboscopia simultanea”), a dare alle sue grottesche ‘qualità’ vocali denominazioni non propriamente ‘scientifiche’ come ‘falsetto’, ‘speech’, ‘twang’, ‘belt’, ‘opera’ (?!), ‘sob’, il che significa che, come al solito, la montagna ‘scientifica’ non può che partorire alla fine il classico topolino ‘empirico’ o, detto con un altro proverbio, che la superbia va a cavallo e torna a piedi.

Ma c’è di più. Introducendo nel canto un nuovo paradigma (il cosiddetto “meccanismo pieno” M1), che comprenderebbe sia il registro anticamente detto “di petto”, sia il registro anticamente detto “di testa”, e basandolo su quello che si potrebbe definire riduzionismo laringeo, ancora una volta la foniatria sconvolge in maniera irresponsabile tutti i principi su cui si è basata una scuola secolare e gloriosa (quella del belcanto), dimostrando di non aver capito nulla degli elementi costitutivi e della modalità di sviluppo del canto lirico. Dicendo “canto lirico” non si intende in questo caso far riferimento alla sua valenza estetica e stilistica, per ciò stesso ‘delimitata’ storicamente e culturalmente, ma si intende riferirsi alla sua valenza tecnico-vocale, per la quale è ormai riconosciuta universalmente come quella che ha dimostrato il possedere in sé il massimo grado di funzionalità fisiologica e acustica. Ne consegue che mettere sullo stesso piano questa modalità tecnico-vocale e quella del falsetto istintivo e del “falsetto velato” (come implica l’ assegnazione a ciascuna delle due di un diverso “meccanismo laringeo”, rispettivamente M1 e M2) significa riproporre le stesse aberranti classificazioni della Estill, quando col suo ‘voicecraft’ ha il coraggio di equiparare tra loro “qualità vocali” come il “sob-cry”, il “belt” e l’ ”opera”, dimostrando in tal modo lo stesso grado di serietà e attendibilità di chi mettesse sullo stesso piano la tecnica necessaria per dipingere un quadro figurativo e la tecnica necessaria per tinteggiare di bianco una parete.

Scrive Fussi in un articolo con cui cerca di dare legittimità a questa nuova, bislacca schematizzazione:
“Alcuni registri possono essere descritti come diversi sebbene siano prodotti dallo stesso meccanismo laringeo, in quanto la loro terminologia viene applicata a fenomeni non coincidenti col solo vibratore (ad es. falsetto e falsettone sono in meccanismo 2, petto e testa in meccanismo 1).”

In sostanza, una tradizione secolare, quella del belcanto, ha scoperto o comunque riconosciuto l’ esistenza di due distinte zone della voce, a cui corrispondono distinte modalità di emissione e relative propriocezioni, e con una metafora organistica le ha chiamate “registri”. Ha per altro trascurato del tutto ogni riferimento al diverso funzionamento cordale che ne sarebbe la causa, tanto che è solo nella seconda metà dell’ Ottocento che Manuel Garcia jr. formulerà la classica definizione di registro vocale come “serie di toni consecutivi e omogenei che vanno dal più grave al più acuto, prodotti attraverso lo stesso principio meccanico, e la cui natura differisce essenzialmente da un’altra serie di toni ugualmente consecutivi e omogenei prodotti da un altro principio meccanico.”

Da questa semplice definizione risulta evidente che la nozione di “registro”, spiegata per la prima volta da Garcia, corrisponde alla moderna nozione foniatrica di “meccanismo” e fin qui non ci sarebbero problemi, dato che si tratta semplicemente di fare uso di una diversa metafora (“meccanismo” invece che “registro”). I problemi nascono quando la foniatria, con una mossa inaspettata, sovverte tutto questo e decide del tutto arbitrariamente di legare il concetto di “meccanismo” (pesante e leggero) alla percezione della massa delle corde vocali, con conseguenze disastrose, note a chiunque si intenda un po’ di insegnamento del canto. Dire a un cantante che, cantando nel centro della voce, deve usare un meccanismo cordale “pesante” (o “pieno”) significa automaticamente zavorrarne la voce e portarlo a ‘spingere’ o a ‘gridare’. Infatti il concetto e la percezione dello “spessore” e della “corposità” del suono devono essere rigorosamente limitati alle sole note estreme gravi dell’ estensione vocale, mentre estenderli già solo alle note centrali comporta gravi rischi di appesantimento dell’ emissione. Teorizzare poi che quello che i belcantisti hanno definito “registro di testa” è in realtà una variante del “meccanismo pieno o pesante”, vuol dire sconfessare i principi fondamentali della scuola del belcanto e disorientare la mente degli allievi, con conseguenze ancora più deleterie. Dimostra insomma lo stesso grado di irresponsabilità di chi lasciasse un coltello nelle mani di un bambino di due anni. In questo modo la foniatria artistica ripropone le stesse teorie fallaci che, ormai quasi un secolo fa, l’ avevano portata a elaborare il disastroso metodo noto come “affondo”, causa della distruzioni di molte voci e presto ripudiato anche da grandi tenori come Del Monaco, Martinucci e Cecchele, che inizialmente l’ avevano adottato.

Ci troviamo qui in una delle (tante) situazioni in cui la prospettiva meramente esterna del fenomeno, quale è data dalle misurazioni foniatriche, è del tutto sfasata rispetto alla percezione che del fenomeno ha il cantante e che è quella con cui si CREA il canto. Infatti una cosa è osservare il fenomeno dall’ esterno, un’altra cosa è crearlo dall’ interno. Anche se alla produzione di una certa nota acuta o medio-acuta corrisponde una configurazione delle corde vocali che si potrebbe definire “meccanismo pesante”, in realtà il lavoro del cantante deve andare nella direzione opposta, nel senso di filtrare progressivamente la corposità del suono salendo, operazione che i belcantisti definivano “ritenere la voce di petto” o “colare la voce”, considerandola il mezzo e la condizione necessaria per salire non solo alle note acute, ma anche alle note della zona media della voce. Addirittura il grande baritono verdiano Antonio Cotogni definiva, in senso negativo, come “grasso della voce e non muscolo” questa componente della “pienezza” del suono, qualora venga percepita dal cantante, arrivando a considerarla addirittura come “la morte della voce”. Ma, ove ciò non bastasse, a sconfessare la validità dell’ inserimento del registro di testa nell’ ambito del meccanismo laringeo “pesante” (o “pieno”) è lo stesso lessico, che fa sì che se le note basse sono definite ‘gravi’, questo comporta logicamente che le note acute dovranno essere definite ‘leggere’ e, non a caso, la formula del belcanto, elaborata da Lauri Volpi, parla dell’ ideale acustico e tecnico-vocale, rappresentato dal suono “calmo, sferico, LEGGERO, potente.”

In conclusione, la procedura seguita dalla foniatria cosiddetta artistica nello studiare i fenomeni del canto rimane sempre la stessa: quella del cieco che disquisisce di pittura, mescolando a casaccio la misurazione delle lunghezze d’onda della luce con gli aggettivi sinestetici più sballati, associati ai vari colori. Affermare infatti che (cito testualmente) “’registro pesante’, ‘normale’, ‘modale’, ‘di petto’ e ‘modalità spessa’” sono i termini più appropriati per descrivere “le realtà percettive prodotte nel meccanismo M1” (che, ricordiamo, comprende anche quello che nel belcanto era definito “registro di testa”) è esattamente come affermare che nella pittura il colore nero è associato a sensazioni di chiarezza, trasparenza e leggerezza. Parlare, nello studio del canto, di “pesantezza”, “pienezza” e “spessore” del suono laddove per il belcanto l’ ideale acustico e tecnico-vocale era rappresentato dal “perfetto e LEGGERO impasto di voce” (Mancini), rimane, checché ne dica in proposito l’ elettroglottografia, una colossale, pericolosa e fuorviante SCEMENZA.

Antonio Juvarra

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