Ancora su Baricco

A integrazione di quanto scritto ieri,pubblico un contributo di Gabriele Baccalini,voce autorevolissima,che ha vissuto,spendendosi anche in prima persona,gli anni in cui la cultura era veramente considerata una cosa seria.

Ieri sera sono andato alla Scala a sentire la meravigliosa Winterreise di Quasthoff e Barenboim, stavolta molto umile nell’assecondare la linea interpretativa del grandissimo bass-bariton, di un intimismo e di una dolcezza tragica assolutamente originali, tali da porla sullo stesso piano delle altre più sublimi, che la nostra generazione ha potuto ascoltare.
Ne accenno qui invece di mettere un nuovo post, perché per seguire il testo mi sono portato da casa la brochure delle Schubertiadi di Hermann Prey del 1986-87: sei serate di Lieder di Schubert, tra cui naturalmente il sommo capolavoro di ieri sera. Sulla copertina figurava l’indicazione: "Concerti per Giovani, Lavoratori e Studenti", i mitici GLS, low cost ma con i più grandi concertisti del mondo, creati da Paolo Grassi e continuati gloriosamente con Badini.
Erano i tempi dell’Ente Autonomo Teatro alla Scala, gestito dai rappresentanti della collettività e della comunità musicale e teatrale.
Poi è arrivata la Fondazione dei privati supermiliardari ed erano spariti anche i concerti di canto come quello di ieri sera, evidentemente non abbastanza "rentables" (vedi il programma della stagione 2004-2005, impostato dalla gestione Fontana-Muti; i concerti per giovani e anziani "invitati" alla Scala erano eseguiti dal Quartetto d’archi della Scala, dai Violoncellisti della Scala, dai Solisti della Scala e dall’Ensemble strumentale scaligero: luminoso esempio di apertura internazionale del primo teatro musicale del mondo!).
Il tutto soltanto per invitare il signor Baricco ad andare "a scoà ‘l mar", come si dice a Milano, e la Repubblica a smettere di ospitare questi conformisti dell’anticonformismo, inneggianti per puro codismo al liberismo culturale, in tempi in cui il liberismo selvaggio è stato messo in rotta dalle malefatte dei suoi stessi protagonisti.

Gabriele Baccalini

La polemica del giorno:Alessandro Baricco

Questo articolo dello scrittore alla moda-intellettual-saputello Alessandro Baricco

www.repubblica.it/2009/02/sezioni/spettacoli_e_cultura/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco.htm

apparso oggi su La Repubblica,ha scatenato una serie di reazioni sul web,tra cui segnaliamo questa:
parma.repubblica.it/dettaglio/Stop-soldi-di-Stato-al-teatro-Meli:-Baricco-stia-zitto/1595495

Io non ritengo necessario spenderci tante parole sopra e mi limito a questa osservazione:
Quando si legge Baricco,sembra di leggere Veltroni,e viceversa:cerchiobottismo puro,il trionfo del "sí,ma anche…".Irrilevanti le opinioni di uno scrittore svociato,il quale é preoccupato della crisi della cultura principalmente per il fatto che la gente non compra piú i suoi libri.

Carlos Kleiber,il maestro misterioso

Su Carlos Kleiber, dopo quasi cinque anni dalla sua scomparsa, si é scritto abbastanza. Uno dei contributi piú validi, a mio avviso, è questo articolo di Stefan Osterhaus, apparso su Der Spiegel, che riporta anche interessanti ricordi del direttore e compositore Michael Gielen. Lo pubblico nella traduzione italiana effettuata dalla carissima amica Anna Costalonga.
L’ articolo originale é reperibile  QUI
Parlava poco e dirigeva poco: già in vita Carlos Kleiber era restio a qualsiasi tentativo di biografia, adesso la sua famiglia continua questo suo silenzio. A tal punto da far temere al suo amico di sempre Michael Gielen che l’ eredità del Maestro del Secolo venga dimenticata.

No, il direttore artistico non ne vuole parlare, di Carlos Kleiber, e non ne vuole parlare nessuno, d’ altronde. A mala pena vengono rilasciate dichiarazioni, sicuramente non da parte del cerchio dei parenti e degli amici. E se anche trapela qualcosa, è sempre qualcosa di decisamente prevedibile.
Il Maestro del secolo appartiene difatti all’ etichetta più aristocratica. Un genio, senza pari. Carlos Kleiber, il torero del podio, a due anni e mezzo dalla scomparsa rimane esattamente quello che era in vita: un mistero.

Recentemente un autore ha ammesso di nuovo la sconfitta : Jens Malte Fischer, acuto biografo mahleriano, in una sua analisi dell’opera di Kleiber, ha ammesso l’ impossibilità di una sua biografia.
“Carlos Kleiber – l’ eccentrico scrupoloso“, questo il titolo del libello, seziona con precisione il suo metodo musicale. Questo ottobre tuttavia verrà pubblicato un nuovo tentativo biografico, “Carlos Kleiber – Una Biografia“ ad opera del critico letterario Alexander Werner.

Eccentrico – sì, è un luogo comune, ma uno, comunque, che fa da corollario al superlativo assoluto. Alcuni hanno definito il talento di Kleiber come “demoniaco“. La fluidità dei suoi movimenti, liberi da manierismi, sconfinava con la danza. Perfino gli archivi del Munzinger, notoriamente privi di ironia, parlano dei suoi “poteri musicali mediatici“, che avrebbero esercitato sul pubblico “nientemeno che un effetto ipnotico“.
In 50 anni ci ha lasciato solo una dozzina di registrazioni. In compenso, non si contano i pettegolezzi sulle sue idiosincrasie, le sue bizzarrie, le sue nevrosi: Kleiber, pazzo per le automobili, Kleiber, il terrore di ogni impresario, Kleiber, un uomo dall’ indeterminazione lunatica, capace di cancellare date da un giorno all’ altro; Kleiber, figlio unico di un direttore d’ orchestra di livello mondiale e che tuttavia ha superato il padre in talento.

Il cerchio dei familiari si ostina nel silenzio. Evita qualsiasi apertura, proprio come l’ amato “Pipistrello“ straussiano evita la luce del giorno. Ecco il succo di una telefonata a suo figlio: “Io con lei non parlo“. Naturalmente nessuno deve parlare del defunto padre Carlos. Sarebbe interessante anche solo sapere il perchè di questo silenzio. Negli anni 80 un giornalista americano rese pubblica una sua biografia redatta sulla base di documenti austriaci e argentini. Il Maestro gliela proibì, avvalendosi di un supporto legale. Sono state scritte numerose lettere, tuttavia gli eredi continuano a impugnare e proseguire la volontà paterna. E così gli “ori“ di Kleiber non verranno mai resi pubblici.

Cosa ci rimane allora di Kleiber, a parte un paio di dischi? La fama di mago enigmatico dai tratti maliziosi, che riusciva letteralmente a infiammare il pubblico? Certo. I veri entusiasti, pur numerosi, ne lodano le opere e l’ operato: da un sondaggio del sito “tamino-kassikforum“, i cui esegeti discutono di Scherzi e Tempi con una foga simile a quella generata dalla questione del cambio di portiere della Nazionale, Carlos Kleiber con il suo “Don Carlos“ avrebbe la meglio su Bernstein, Furtwängler & Co., nonostante la poca reperibilità del suo repertorio.

OMBRE SULL’ EREDITA’

Ma allora che succederà alla sua eredità? Gli archivi bavaresi ospitano parecchie registrazioni del tempo in cui Kleiber lavorò alla Staatsoper, che però non possono essere toccate. Saranno rese disponibili, infatti, al decadere del vincolo legale, solo fra una ventina d’anni. Un po’ alla volta, quindi, svaniranno le ombre sul ricordo di quest’ uomo, che non voleva più essere un direttore ospite – uno per cui, tempo fa, lo Zeit, a proposito di una sua direzione del Tristano, si lasciò andare a questo commento entusiasta: “Non si è mai sentito sulla terra niente di più furioso”

SULLE TRACCE DEL GENIO

Ha fatto tutto di testa sua, in compenso. Apparizioni dopo lunghi intervalli. Mai un’ intervista. Una volta durante una tournée invitò una giornalista nella sua camera d’ albergo. Per tutta l’ ora e mezza dell’ incontro, in sostanza il Maestro non avrebbe fatto altro che cercare la sua carta di credito. Alle prove, non amava la presenza di ascoltatori. “Naturalmente sapeva che così il suo valore di mercato si sarebbe alzato“, dice un collega di fama mondiale, che ha avuto modo di conoscerlo molto bene. E’ Michael Gielen, 80 anni, colui che ha saputo dirigere la Nuova Musica come pochi altri.

E’ più che comprensibile che Gielen parli di Kleiber. Erano amici di gioventù: si conobbero per la prima volta al Teatro Colon in Argentina. Gielen era maestro ripetitore di Erich Kleiber, il padre di Carlos, uno dei più grandi direttori dell’ anteguerra. La famiglia Gielen infatti era emigrata in Argentina, esattamente come i Kleiber.
Erich Kleiber non poteva sopportare l’ idea che ci fosse un altro musicista in famiglia. Di conseguenza spedì il figlio a studiare chimica a Zurigo. Carlos invece “fece di tutto“, come dice Gielen, “pur di non studiare chimica.“

“NON SO FARE COME PAPITO“

Il talento di Kleiber si manifestò ben presto. Gielen ha sempre disprezzato il mestiere stereotipato, l’ intercambiabilità delle messinscene con il loro suono preconfezionato. Per questa ragione teme che il suo vecchio amico venga dimenticato. Per questa ragione si è deciso a parlare di quest’ uomo che non voleva funzionare come si aspettava il mercato. Della sua musica e della sua vita spirituale, della sua profonda nevrosi, che gli era però vitale .

Inevitabilmente, l’ombra paterna: “Penso che aver avuto un padre così importante sia stata per lui una vera sfortuna, la causa di un insuperato complesso di Edipo“ Una volta Carlos portò a Gielen una registrazione del padre.“Era fantastica“, racconta Gielen. Quando si trattava di suo padre, le sue registrazioni erano sempre meglio delle proprie: “Ecco, ha sempre pensato: “Non so fare come Papito”. “

Il destino familiare e la potenza della musica – sono due cose da cui Kleiber non si è mai saputo davvero difendere. Gielen ci riferisce di quando, durante una sua conduzione del Tristano a Stoccarda, Kleiber accusò addirittura vere e proprie nausee. Erano le fantasie febbrili di Tristano ad aver avuto la meglio su di lui. I musicisti gli passarono dei fazzoletti. E lui diresse con una mano. “Carlos aveva davvero paura di diventare pazzo. Per questo motivo, penso, ha finito con il dirigere sempre meno“

LA NOTTE SULLA TOMBA DI KARAJAN

Kleiber soffriva per la musica, più che gioirne. La dissociazione tra mestiere e arte gli pesava, avrebbe preferito dominarla. Ammirava in questo, invece, Herbert von Karajan. A volte, però, l’ ammirazione nei confronti degli altri colleghi andava così in là, che il suo orecchio, così preciso in altre situazioni, lo tradiva: “Una volta“ racconta Gielen “mi arriva con una registrazione di Furtwangler da Milano. Il Ring. Mi dice “Ascoltalo, è fantastico“ Be’ lo ascoltai – ma faceva veramente schifo! Sia Furtwangler sia l’ orchestra. Carlos si era semplicemente immaginato tutto“ Poi, ci racconta l’ episodio del Festival di Pasqua di Salisburgo, di quando la segretaria generale dell’ accademia delle belle arti bavarese una notte si trovò a passare davanti alla tomba di Karajan. E lì riconobbe una figura alta e slanciata, immobile ai piedi della tomba: era Carlos Kleiber.

Il desiderio e la realtà si confondevano spesso – segni di insicurezza, forse? Sdegnava le serate di gala a Monaco, ma diresse per il suo amico Leo Kirch. Una volta, avrebbe rivelato come passava le sue giornate: la mattina, se gli andava, usciva di casa (una villetta a schiera, non una villa) per fare un po’ di jogging e prendere il giornale. Poi faceva colazione,e guardava quello che passava alla televisione.

I primi anni, riempiva le giornate con ascolti maniacali, invece. Kleiber doveva sapere cosa facevano gli altri. Personalmente, faceva solo quello che gli prescriveva il padre Erich: “Non avrebbe mai diretto nulla che suo padre non avesse autorizzato“, ci dice Gielen. Avrebbe dovuto dirigere il “Wozzeck“ di Alban Berg in Scozia. Kleiber cancellò quest’ impegno, ma si rifiutò di consegnare la partitura al sostituto: c’erano le note di suo padre Erich, che aveva diretto la prima assoluta del “Wozzeck“.

Pettegolezzi, aneddoti, frammenti – anche se li mettessimo assieme, non riusciremmo ad avere un quadro conclusivo e coerente. Da poco un giornalista italiano sarebbe riuscito a pubblicare un libro su Kleiber. Il titolo “Carlos Kleiber – Angelo o Demone?” Demone, però, è sempre un’ etichetta. A questo proposito Gielen ci dice solo: „E’ stato il demone di se stesso. Non il demone degli altri.“

"Teatri" d´Italia…

Pubblico parte di un’ intervista al maestro Lior Shambadal, Chefdirigent dei Berliner Symphoniker.
Il testo completo si trova QUI
Ringrazio l’ amico blogger  Leonardo Micucci per la segnalazione.

“In Italia, la situazione è vergognosa! In Germania si contano 250 orchestre di musica lirica, in Italia 13 Enti Lirici e si parla di chiuderne la metà! In Italia avete in tutto 10 orchestre importanti e dovrebbero essere almeno 100. Nella sola Pechino si esibiscono 13 orchestre di musica sinfonica italiana e quante orchestre di musica classica cinese, finanziate dallo Stato, avete a Roma? Nessuna, ovviamente.

In Venezuela ci sono circa 700 orchestre giovanili e musicisti di grande valore che hanno studiato anche all’estero e il governo ha deciso che ogni ragazzo invece della droga deve prendere in mano uno strumento. Recentemente a Vienna il direttore artistico di un grande teatro mi parlava dell’ Opera e della collaborazione con l’ Italia e a un certo punto mi ha detto: “L’ Italia è un deserto culturale!”. I vostri politici non fanno nulla e il popolo è rovinato dalla televisione.

In Corea, in occasione di un concerto, ho visto un grandissimo manifesto con su scritto Beethoven è anche coreano e questo è molto bello perché Beethoven è patrimonio dell’ umanità, è patrimonio di tutto il mondo. E qui in Italia? Dove sono i vostri grandi musicisti? Dove sono? Le orchestre italiane non sanno suonare la musica italiana, quasi non la conoscono. Parlo anche dei compositori più moderni per es. Petrassi e Malipiero. In Italia non c’ è rispetto per la cultura del passato. Se noi ebrei dimenticassimo la nostra cultura saremmo finiti in un giorno. Quando Verdi è morto tutta l’ Italia era al suo funerale e oggi dove sono gli italiani?”

Il maestro Lior Shambadal, primo direttore dell’orchestra sinfonica di Berlino e primo direttore dell’orchestra sinfonica slovena, uno dei più importanti direttori d’ orchestra del mondo, mi guarda diritto negli occhi e mi mette a disagio, in imbarazzo, mi fa sentire tutta la tristezza e la vergogna per la sciagurata assenza di una politica culturale nel nostro paese.

“Cinquecento anni fa, tutta la musica classica e sinfonica è nata in Italia e nelle Fiandre dalla musica sacra. Tutto il barocco, tutta la musica rinascimentale è nata qui. In Italia tutto è iniziato e tutto sta finendo! Nella mia vita ho diretto oltre seicento opere liriche di compositori italiani. Ho diretto molta musica italiana e molta musica russa.

Innanzitutto Giuseppe Verdi che io amo molto e che per me è il più grande e poi Donizetti, Rossini, Puccini….. Nella storia troviamo grandissimi compositori ed interpreti italiani dell’ opera lirica e sono ancora convinto che la potenzialità italiana sia fra le più importanti del mondo. E invece nel vostro paese alla musica e alla formazione dei giovani musicisti non si dà alcuna importanza e si continuano a tagliare i finanziamenti. Ho davvero la speranza che qualcosa cambi e che si ritorni ad amare la musica così come è sempre stato nella grande tradizione italiana.”

Buon compleanno, maestro Puccini!

Puccini“La morte di Puccini mi ha recato un profondo dolore. Non avrei mai creduto di non dover piú rivedere questo cosí grande uomo. E sono rimasto orgoglioso di aver suscitato il suo interesse, e Le sono riconoscente che Ella lo abbia fatto sapere ai miei nemici, in un recente suo articolo”.

Cosí scriveva Arnold Schönberg ad Alfredo Casella nel gennaio 1925. Credo che queste parole siano uno dei migliori omaggi che si possano tributare al grande compositore lucchese, di cui oggi ricorre il centocinquantesimo anniversario della nascita. La figura di Giacomo Puccini, spesso maltrattata dalla critica a partire dal velenoso libello di Fausto Torrefranca del 1912, fu disinteressatamente apprezzata da musicisti del calibro di Stravinskij, Ravel, Webern e Varése, oltre al nobile giudizio di Schönberg che abbiamo citato in apertura. Una certa corrente critica italiana volle fare del musicista toscano il simbolo di una polemica diminutiva che aveva per bersaglio tutto il melodramma ottocentesco, della cui tradizione Puccini era l’ ultimo erede legittimo. Oggi, l’ attivitá critico-musicologica di studiosi come Fedele D’ Amico, Antonino Titone, Jürgen Maehder, William Ashbrook, Julian Budden, Anselm Gerhard, Andrew Porter e Michele Girardi ha inquadrato nelle giuste prospettive la produzione artistica di quello che va annoverato, senza ombra di dubbio, tra i compositori piú raffinati ed evoluti del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. Partito da un’ ispirazione artistica rifacentesi ai drammi wagneriani (basterebbe ricordare a questo proposito la citazione letterale dell´Abendmahl-Motivi nel preludio de Le Villi e quella del Tristanakkord nel secondo atto di Manon Lescaut, oltre alla elaborazione tematica secondo la tecnica del Leitmotiv su cui quest’ ultima opera é basata) seppe in seguito fare tesoro delle piú moderne esperienze musicali europee, arrivando a proporsi come autentico innovatore. Lo splendore sinfonico e la superba tecnica compositiva di partiture come La Fanciulla del West e Turandot ne sono una testimonianza evidente. Ma ci sarebbe parecchio da dire anche sulle novitá che Puccini apportó nel campo della tecnica teatrale, con un trattamento del tempo degno dei grandi romanzieri, in un respiro epico che spesso sembra trasfigurare le vicende dei personaggi. Il musicista toscano si tenne sempre a debita distanza dal movimento verista, per portare avanti un altro concetto di teatro musicale, parallelemente alle novitá che in questo campo apportavano in quel periodo compositori come Richard Strauss, non a caso grande ammiratore dell’ arte pucciniana. Tutto questo fu immediatamente compreso dal pubblico, che alle opere di Puccini ha sempre decretato, fin dal loro apparire, un grande ed incondizionato successo, che si é mantenuto tale nel corso degli anni ed anche oggi non accenna a diminuire. In fondo, é proprio questo che certa critica non ha mai perdonato al compositore lucchese. Oggi per fortuna le cose sono cambiate e la musica pucciniana é stata fatta oggetto di studi critici estremamente validi, che hanno collocato il musicista nel posto che gli compete: quello di una delle piú grandi ed originali figure che la tradizione musicale italiana abbia mai prodotto, l’ ultimo erede del nostro melodramma e colui che ne concluse il ciclo meraviglioso, allo stesso modo in cui Gustav Mahler chiuse la parabola artistica della sinfonia viennese. La musica di Puccini occupa un posto insostituibile nella nostra cultura, e questo anniversario deve servire a ricordarcelo.

Lo stato italiano e i teatri lirici

Mentre i teatri italiani si dibattono nelle spire di una crisi senza fine e il governo Berlusconi annuncia nuovi tagli ai fondo per lo spettacolo, mi sembra giusto ripubblicare quanto scritto al riguardo un paio d’ anni fa, dall’ amico Alfonso Antoniozzi.
Le sue parole non hanno perso nulla della loro attualitá.

Ma sì, ma perchè dobbiamo stare qui a perdere tempo dietro ai teatri lirici, che diciamoci la verità sono un baraccone insostenibile che ormai è imploso
e che non aspetta altro che di esplodere facendovschizzare per tutta la città pezzi di corde vocali, note musicali, fogli di musica, archetti, cantinelle,
praticabili e quant’ altro li riempia da sempre, insieme a carte, cartacce, documenti, ritenute d’ acconto, ruolini ENPALS e tutto l’ ambaradan che
la moderna amministrazione richiede per un efficiente funzionamento della baracca.

Ma abbiate il coraggio di dirlo che non ve ne frega più niente, che saremmo molto più utili alla società dietro un bancone di supermercato o a spalare merda nelle varie Fattorie televisive o, meglio, messi a pecora sulla Salaria per cinquanta euro a botta salvo sconti a militari e appassionati, tanto anche se non lo dite appare evidente lo stesso che la volontà neanche troppo nascosta è quella di farci chiudere baracca e burattini senza che nessuno alzi un dito a Roma e, peggio, senza che nessuno si assuma la responsabilità morale e materiale di buttarci tutti in mezzo a una strada.

Coraggio, su, ditelo : della lirica non ce ne frega un beato piffero, ooooh, lo vedete che è liberatorio? E tanto peggio se il resto del mondo parla italiano
anche (direi principalmente) grazie a Verdi, Puccini e compagni, se in questo esatto momento da qualche parte del globo viene rappresentata un’ opera
italiana, se ogni anno migliaia di giovani di tutto il mondo si innamorano della nostra musica, e studiano la nostra lingua, e cercano di cantare all’ italiana, ma
chi se ne frega, ma chiudiamoli questi teatri, cazzo!

Chiudiamoli sul serio però, senza tagliare fondi con le varie finanziarie, senza questo sgocciolio di rubinetto sempre più esile, sempre più misero, che ci costringe a risparmiare settanta euro di scenografia per far quadrare il bilancio, che spinge i teatri a pagare con quaranta-sessanta giorni di ritardo, che mette tutti nella condizione non dico di fare sacrifici, sarebbe il minimo, ma di indebitarsi NOI con le banche perchè lo stato (minuscolo, minuscolo e basta) i soldi li sgancia PER QUALUNQUE ALTRA STRONZATA ma non per la lirica.

Ma chi se ne frega di questi quattro pachidermi cerebrolesi che cantano Amami Alfredo, ma chi cazzo è Alfredo poi? Che non si capiscono le trame, diciamo la verità, e meno male che ci sono i sottotitoli, ma perchè non li doppiano IN I-TA-LIA-NO ‘sti cantanti, che non si capisce perchè siano tanto speciali, che mi significa cantare a voce piena QUANDO CI STA IL MICROFONO!!!
Siamo nel duemilasei, ohè, sveglia!

E i coristi, e gli orchestrali, ma sarà mica un mestiere, il lavoro fa SU-DA-RE, porca miseria, mica è un divertimento, me lo dicono sempre i Carabinieri quando mi fermano per un controllo, che mestiere fa? Il cantante lirico. Vabbè, ma di mestiere!? PETTINO LE BAMBOLE ALLA FURGA, tutti i giorni dalle otto alle sei, perchè, che vi credete che escono pettinate da sole dalle macchine, no no, LE PETTINO IO, tutte io, va bene?

Chiudiamo i teatri, chiudiamoli, abbiate pietà di noi, non manteneteci nell’ illusione che gliene freghi ancora qualcosa a qualcuno, di star facendo qualcosa
di buono, di essere capaci di toccare l’ anima di chi ascolta, ma quale anima, l’ anima LA TOCCA IL PAPA anche se quando parla sembra una delle Gemelle Kessler (quella più cattiva) chiudiamoli ‘sti teatri,  in fondo noi possiamo sempre provare ad aprire un bar, una tabaccheria, un tappeto su ponte santangelo, e coi teatri facciamoci UN BEL GARAGE, che di questo hanno bisogno le città, altro che di musica e di cultura, la musica la fa Povia coi piccioni, la cultura Marzullo, non scherziamo, altro che zumpappà, e annamo, su!

FACCIAMOCI UN GARAGE multipiano, uno per città, che meraviglia, finalmente i diciassette piani di torre del Carlo Felice di Genova saranno utili alla comunità,  tutti potranno entrare alla Scala (e in macchina!!!), il Petruzzelli lo ritirano su in una notte e forse allora a Piacenza sapranno dove cazzo è il Teatro Comunale visto che venti persone cui l’ ho chiesto mi hanno risposto boh e lo sapeva solo un ecuadoregno di passaggio (il che rafforza la mia fede: la salvezza verrà, forse, solo dall’ immigrazione!)

FACCIAMOCI UN GARAGE!

Noi ex lavoratori dello spettacolo lirico chiediamosolo, in cambio, un’ agevolazione sui prezzi delmensile per parcheggiare il nostro furgone della
porchetta in un posto che, in fondo, era casa nostra.

Fonte:www.alfonsoantoniozzi.com

Famolo strano:Traviata alla Hauptbahnhof di Zürich

Una delle manie odierne che io trovo assolutamente perniciosa é quella di voler “democratizzare”  l’ arte a tutti i costi. Per i sostenitori di questa filosofia, una forma di espressione artistica come l’ opera troverebbe il suo limite nell’ essere eccessivamente elitaria e necessiterebbe pertanto di iniziative atte a portarla a livello delle masse che non la capiscono. Non sto qui a ricordare come il melodramma sia sempre stato, dall’ Ottocento in poi, l’ autentica musica del popolo, forse l’ unica espressione della musica d’ arte a possedere queste caratteristiche, come del resto scrisse a suo tempo Antonio Gramsci. Ma tant’ è, e nella mente di coloro che hanno l’ intenzione di popolarizzare e divulgare nascono operazioni come quella a cui ho appena finito di assistere, in diretta televisiva su ARTE. Come annunciato nel titolo, si trattava della Traviata rappresentata alla Hauptbahnhof di Zürich. Strano vedere un teatro come l’ Opernhaus, che persegue una gestione artistica per diversi aspetti  molto seria e di qualità elevata, arrivare a compromettersi in un’ operazione del genere. Perché questa serata si iscrive a buon diritto in quel filone aperto negli anni Novanta dai concerti dei Tre Tenori e dalle opere in diretta dai luoghi “autentici” organizzate da Andrea Andermann, che intende portare il teatro lirico a livello dei concerti rock, con tutto il rispetto che io ho per una forma musicale che ha una sua intrinseca validità. Ma il sincretismo e la contaminazione dei generi non sono il giusto mezzo per avvicinare un nuovo pubblico alle rappresentazioni operistiche. Qualsiasi espressione artistica ha i suoi codici, che vanno rispettati e compresi allo stesso modo in cui per assistere ad una partita di calcio bisogna naturalmente conoscerne le regole. È inutile che i fautori di queste operazioni affermino che l’ opera é una forma di teatro datata e che bisogna modernizzarla .Se io applico un clacson e un paio di catarifrangenti a un cavallo, non per questo avrò un’ automobile.Allo stesso modo, vedere una Violetta agonizzante nel ristorante di una stazione per poi raggiungere la barella di un’ ambulanza (in mezzo alla gente che la fotografa con i cellulari) dove morirá, probabilmente di assideramento e non di tisi visto il costume indossato, fa pensare irresistibilmente a “A Night at the Opera” dei fratelli Marx. Solo che la loro era dichiaratamente una parodia mentre qui si pretendeva di fare sul serio.
Come dice Canio nei Pagliacci, “il teatro e la vita non son la stessa cosa”. Operazioni del genere non hanno nulla di culturale. Cultura non vuol dire questo: fare cultura significa scuole per tutti, libri per tutti, teatri per tutti.
Come giá ho detto, iniziative del genere non sono assolutamente una novitá. Ricorderete nel 1992 la Tosca in diretta dai luoghi e nei tempi esatti dell’ azione, col povero Placido Domingo che stonava e steccava tentando di cantare “E lucean le stelle” alle quattro e mezzo della mattina, e Angelotti che entrava in Sant’ Andrea della Valle mentre sullo sfondo si vedevano le luci al neon di Campo de’ Fiori. Evento che fu ripetuto sette anni dopo, con la Traviata in diretta dai palazzi parigini, che non riscosse identica attenzione mediatica: evidentemente, non bis in idem. E adesso abbiamo avuto anche la Traviata alla stazione. A chi volesse ripetere il misfatto,suggerirei di organizzare una recita del capolavoro verdiano nel piú grande e famoso bordello di Berlino, l’ Artemis. Tra l’ altro,una Violetta che morisse in mezzo alle prostitute avrebbe almeno qualche carisma di autenticità.
Non parliamo degli esecutori di questo evento, che hanno dimostrato in ogni caso una professionalità non comune riuscendo ad eseguire la musica in modo corretto, viste le condizioni, tranne nei casi in cui i cantanti affrontavano passi scoperti dove l’ intonazione andava logicamente a farsi benedire. Da censurare comunque senza scusanti i tagli scellerati apportati alla partitura. Omettere il “Prendi, quest’ è l’ immagine” si puó solo definire come un verdicidio.
Successo finale e tutti contenti. Adesso come prossima genialata aspettiamo una Carmen ambientata in mezzo a una vera corrida: là sì che ci sarebbe da divertirsi…
Postilla: dopo una ponderata riflessione, auspico comunque un’ evento del genere anche in Italia. Sarebbe un’ eccellente opportunità per rimettere un po’ a posto le nostre stazioni ferroviarie, che mediamente fanno schifo. Per una volta le esigenze artistiche potrebbero passare in secondo piano rispetto a quelle della decenza. Ma questo, ripeto, vale solo per l’ Italia e solo per questa ragione.

26 giugno: auguri a Claudio Abbado

Il settantacinquesimo compleanno di un direttore illustre diventa, naturalmente, una buona occasione per riflettere su tutta la sua attivitá passata. Sembra ovvio affermare che Claudio Abbado é da collocarsi a buon diritto tra i pochi direttori d’ orchestra realmente storici della generazione a ridosso della seconda guerra mondiale. Formatosi a Milano e perfezionatosi a Vienna, Abbado é riuscito ad assimilare e sintetizzare il meglio di queste due culture, sviluppando poi una sua originalitá sia nel campo interpretativo che in quello della programmazione culturale. In tutte le istituzioni musicali con cui ha collaborato nel corso della sua vita artistica, Abbado ha sempre portato avanti un’ idea di rinnovamento nelle proposte, nonché una precisa logica nella programmazione intesa non solo come successione di eventi, ma come parte di un progetto culturale articolato. Si inscrivono in questa logica il Festival Berg, il Festival Mussorgsky e il Progetto Debussy alla Scala, il Festival Wien Modern e le stagioni tematiche a Berlino. Ma tra i risultati storici raggiunti dal direttore milanese in campo interpretativo rimane prima di tutto indimenticabile il lavoro compiuto sulle partiture di Rossini, sia per la lucida analiticitá della proposta musicale, tale da mettere in risalto ad esempio le profonde affinitá tra le geometrie rossiniane e la tagliente ironia di certo Novecento (Stravinsky in testa) che per il lavoro scrupoloso di ricerca sulle fonti. Il coronamento di tutto ció si é avuto con la magistrale riproposta del Viaggio a Reims, uno degli spettacoli storicamente piú importanti nell’ ultimo scorcio del Novecento. Ma anche accostandosi al repertorio verdiano Abbado ha sempre compiuto scelte di grande originalitá, privilegiando le opere che mettono in risalto le affinitá di Verdi con la grande cultura europea del suo tempo (Un ballo in maschera, Don Carlo) e quelle che presentano spunti di riflessione sul rapporto tra l’ uomo e il potere, come Simon Boccanegra e Macbeth, e ancora Don Carlo per molti aspetti. A me personalmente dispiace che il maestro non abbia mai preso in considerazione l’ universo di Puccini, perché sono convinto ad esempio che la scrittura cosí genialmente innovativa di Turandot potesse benissimo appartenere alla sua concezione interpretativa del Novecento ed essere da lui resa in maniera quanto mai originale. Del  resto, Abbado ha fatto del repertorio novecentesco uno dei cardini della sua attivitá. L’ eccellenza dei risultati da lui raggiunti affrontando Strawinsky, Prokof´ev, Bartók, Debussy e gli autori  della Scuola di Vienna é stata commentata e analizzata piú volte, e forse solo Pierre Boulez, tra i direttori appartenenti alla sua generazione, é riuscito a raggiungere un tale livello di eccellenza in questo repertorio.
Dobbiamo adesso parlare di Abbado interprete di Mahler. Per talento, concezione musicale e formazione culturale, Abbado é sicuramente l’ unico direttore italiano che possedesse i requisiti di base per scandagliare fino in fondo l’ universo del compositore boemo. Non é un caso perció che il maestro abbia scelto la Seconda Sinfonia di Mahler per il suo debutto al Festival di Salzburg nel 1965. Sicuramente le interpretazioni mahleriane di Abbado sono da collocarsi tra le massime della storia, per luciditá analitica e coinvolgimento espressivo, oltre che per la naturalezza e fluiditá del fraseggio orchestrale.
A partire dai suoi anni berlinesi Abbado ha intensificato il suo approccio al repertorio del grande sinfonismo classico-romantico, anche qui con un minuzioso e progressivo lavoro di scavo e analisi che ha avuto il suo culmine nel ciclo beethoveniano portato a Roma nel 2000 con i Berliner Philharmoniker, che resta forse la miglior sintesi mai raggiunta fra tradizione classica e ripensamento moderno alla luce del lavoro musicologico compiuto sulle fonti. Questa filosofia di base é riscontrabile anche nel ciclo schubertiano inciso con la Chamber Orchestra of Europe, a mio avviso tra le piú belle registrazioni portate a termine dal maestro.
A completamento della riflessione di Abbado su Beethoven é arrivata quest´anno la sua stupenda interpretazione del Fidelio, una delle sue piú belle interpretazioni operistiche, destinata a rimanere memorabile per la commossa partecipazione e la straordinaria carica espressiva. Speriamo che nella sua attivitá futura Abbado si decida a porre l’ ultimo tassello della sua costruzione interpretativa beethoveniana affrontando la Missa Solemnis.
Ma non si puó concludere un post su Abbado senza accennare al suo trentennale lavoro con le orchestre giovanili, un’ attivitá che ha profondamente innovato il mondo musicale e posto le basi per la rivelazione di tanti musicisti di talento.
Che dire ancora? Dal mio punto di vista di ascoltatore, un grazie sincero al direttore che, dagli anni Settanta in poi, ha accompagnato la mia vita scandendola con decine di esecuzioni memorabili.
Per il resto, si sa benissimo che Abbado é un uomo che guarda avanti ed ha senz’ altro in mente qualche nuovo progetto per sorprendere il suo pubblico.
Tanti auguri, Claudio! Sì perché, come tutti sanno, ad Abbado non piace affatto essere chiamato maestro…