
Foto ©swrclassic.de
Per il sesto concerto in abbonamento della stagione alla Liederhalle, la SWR Symphonieorchester ha affrontato un indiscusso capolavoro della musica del dopoguerra: la Turangalîla-Symphonie di Olivier Messian, una partitura imponente per durata e organico strumentale, commissionata per la Boston Symphony Orchestra dal suo Music Director Serge Koussevitzky, che però non potè dirigerla a causa di una malattia e per la prima esecuzione assoluta, tenutasi il 2 dicembre 1949, dovette cedere la bacchetta al giovane Leonard Bernstein, allora in piena ascesa artistica come astro nascente della direzione d’ orchestra.
Come affermato in maniera pressochè concorde dagli studiosi, la Sinfonia Turangalîla è una perfetta espressione del sincretismo culturale e sonoro che sta alla base di molti brani composti da Messiaen. Canti di uccelli e ritmi indiani si alternano con blocchi di sonorità orchestrale dal tono quasi hollywoodian e uno scintillio ispirato alla musica gamelan indonesiana. Molti ascoltatori potrebbero essere sorpresi dal fatto che il compositore di questa musica abbagliante, ipertrofica e lascivamente sensuale sia uno dei padri del modernismo del dopoguerra. Perché le esplosioni sonore della sinfonia Turangalîla di Olivier Messiaen sono molto lontane dal purismo stilistico comunemente associato a questa avanguardia. Anche se negli anni successivi arrivò a sperimentare le tecniche del serialismo, Messiaen aveva composto la Sinfonia in dieci movimenti, opera fondamentale del XX secolo, unica per canoni estetici e requisiti tecnici, come un inno alla “gioia sovrumana, esuberante, abbagliante e sconfinata”.

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Come mistico dell’ estasi sinesteticamente dotato, cattolico profondamente credente e avanguardista radicale allo stesso tempo, Messiaen in questa partitura ha osato rispondere alle ultime domande con sorprendente immediatezza: come suona l’ amore divino? Come risuona l’ abisso del peccato, come il grido de profundis? Comprendeva tutte le sue opere come “atti di fede”. Nella sinfonia Turangalîla Messiaen mette in musica le gioie sensuali dell’ amore – inteso anche come un riflesso dell’ amore divino. I protagonisti musicali delle melodie tristaneggianti sono, oltre ai diversi colori di un’ enorme orchestra (con percussioni strabordanti, glockenspiel, celesta e vibrafono), una parte di pianoforte estremamente virtuosistica e l’ uso delle Ondes Martenot, strumento elettroacustico sviluppato alla fine degli anni Venti che viene suonato utilizzando una tastiera manuale e un anello per ottenere effetti di glissando e ha guadagnato una certa popolarità proprio grazie alle opere di Messiaen e alle abilità virtuosistiche di sua cognata Jeanne Loriod. Successivamente ha trovato la sua strada anche nella musica pop e soprattutto nella musica da film.
Tenendo presente tutto questo, si può capire come l’ esecuzione di un brano così fuori dal comune per dimensioni e organico rappresenti una sfida molto ardua e un test assai probante per valutare l’ abilità tecnica di un’ orchestra. La SWR Symphonieorchester ha fornito una prestazione da complesso strumentale di alta classe (assolutamente souverän, si direbbe da queste parti) per lo splendore sontuoso delle sonorità e la precisione impeccabile. Magnifica in particolare è stata la prova della sezione fiati, per i colori continuamente cangianti e il fascino di colori timbrici squisiti. Brad Lubman, sessantenne direttore e compositore newyorkese che ha conquistato fama internazionale soprattutto come grande esperto del repertorio contemporaneo, ha sfruttato in maniera molto abile le possibilità offertegli da un’ orchestra di questo livello realizzando un esecuzione di splendore sinfonico davvero abbagliante, con una dinamica gestita sino ai minimi particolari. Eccellente è stata anche la prova dei due solisti, il cinquantaquattrenne pianista francese François-Frédéric Guy e Thomas Bloch, sessantunenne compositore, tastierista e produttore nativo di Colmar che nella sua attività concertistica, spaziante dalla musica classica sino al rock e al pop, si dedica soprattutto a strumenti di raro utilizzo come la Glasharmonika (da lui suonata anche alla Scala in una produzione della donizettiana Lucia di Lammermoor) e le Ondes Martenot di cui è ritenuto uno tra i più autorevoli specialisti odierni. In complesso un’ esecuzione di altissimo livello al termine della quale il pubblico, intervenuto assai numeroso alla Liederhalle in entrambe le repliche, ha tributato un successo trionfale a tutti gli esecutori.