
Foto ©Martin Sigmund
Grande successo, qui alla Staatsoper Stuttgart, per la ripresa della bella produzione di Katja Kabanova, spettacolo del 2010 che fu uno tra i migliori esiti della gestione di Albrecht Puhlmann. La produzione operistica di Leoš Janáček ha ottenuto in questi ultimi decenni il posto che le compete nelle stagioni dei grandi teatri internazionali. A buon diritto, bisogna dire, perchè parlando di teatro lirico del Novecento non si può assolutamente ignorare i lavori dello straordinario compositore moravo, assurto alla fama solo all’ età di 62 anni, dopo la rappresentazione di Jenufa al Teatro Nazionale di Praga. Sulla spinta di questo successo Janáček, dopo la Prima Guerra Mondiale, scrisse nel giro di pochi anni quattro partiture da annoverare assolutamente tra i grandi capolavori della storia del melodramma: Katja Kabanova, La piccola volpe astuta, L’ affare Makropoulos e Da una casa di morti. Opere di squisita fattura musicale e teatrale, dalla scrittura raffinata e modernissima, estremamente efficaci nella concezione anche per la scelta molto personale e di grande originalità degli argomenti.
Fra i titoli teatrali ideati dal compositore moravo, Katja Kabanova occupa un posto di assoluto rilievo. Come per tutte altre sue opere maggiori, Janacek ha scelto anche in questo caso come fonte del libretto una trama di alto impatto emotivo basata su un dramma dello scrittore russo Alexandr Ostrovskij intitolato Grosa (La tempesta). Perno di tutta la vicenda è la descrizione della vita provinciale nella Russia ottocentesca, e all’ interno di essa la storia di una donna combattuta tra il rispetto delle convenzioni sociali e l’ aspirazione a una vita sentimentalmente e socialmente più libera. Katja Kabanova, la protagonista, è quindi animata dagli stessi sentimenti che sconvolgono la vita di Emma Bovary e Anna Karenina ma anche, mutatis mutandis, di Katerina Ismailowa che diversamente dalle altre due, per liberarsi dalla situazione oppressiva in cui si trova costretta, sceglierà la via del delitto.

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Nella rielaborazione del dramma Janacek mostra fino in fondo le qualità del grande uomo di teatro, costruendo una progressione drammatica avvincente e intensissima. La vicenda si snoda in un’ atmosfera di crescente tensione e dirompente impatto emotivo, sostenuta da una musica di bellezza e intensità assolutamente affascinanti, con soluzioni di scrittura raffinate e coinvolgenti sia dal punto di vista strumentale che vocale. Tutta la parte conclusiva dell’ opera a partire dalla tempesta fino al suicidio di Katja appartiene, insieme al monologo di Emilia Marty che conclude L’Affare Makropoulos e al secondo atto di Jenufa, agli esiti massimi del teatro di Janáček oltre che alle pagine più significative del teatro musicale novecentesco.

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In Germania la grandezza di Janáček fu riconosciuta in anticipo rispetto ad altri paesi e le sue opere furono rappresentate con frequenza già poco tempo dopo la loro creazione, grazie anche alle traduzioni in tedesco curate da Max Brod, il famoso scrittore e critico teatrale boemo che fu il biografo del suo amico Franz Kafka e a cui si deve anche la scoperta di Franz Werfel. Nel caso di Katja Kabanova la prima esecuzione fuori dai confini cecoslovacchi avvenne a Köln, nel dicembre 1922 sotto la direzione di Otto Klemperer, a un anno dalla prima assoluta e pochi giorni dopo il trionfale successo della prima rappresentazione a Praga che accrebbe ulteriormente la fama di cui già godeva in patria il compositore. Per questa messincena progettata quasi tredici anni fa, Jossi Wieler ha immaginato insieme a Sergio Morabito uno spostamento temporale dell’ azione ai primi anni del postcomunismo, scelta tutto sommato condivisibile in quanto la vicenda dell’ opera presenta parecchi aspetti in comune con quel senso di smarrimento che la popolazione russa, cresciuta in un ambiente oppressivo e burocratico, provava di fronte a una realtà sociale in rapida evoluzione. Wieler e Morabito, come in tutti i loro spettacoli allestiti a Stuttgart, hanno curato con grande attenzione la condotta scenica dei personaggi e ottenuto dal cast una resa teatrale efficacissima nel mettere in rilievo la tensione che anima la trama. Tra i vari aspetti della drammaturgia, in questa produzione si evidenzia soprattutto in modo assai forte la carica sensuale di certe scene, che non è quella gioiosa del godimento ma piuttosto una sensualità vissuta come sfogo e senza un briciolo di autentica gioia. Le scene scarne ed essenziali di Bert Neumann e i costumi di Nina von Mechow servivano molto bene a rendere l’ atmosfera grigia e oppressiva che caratterizza tutta la vicenda.

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Sulla scena, una compagnia di canto formata in prevalenza da alcuni tra i migliori giovani elementi dell’ ensemble della Staatsoper Stuttgart, tutti al debutto nei rispettivi ruoli, ha dato una prestazione di eccellente livello vocale e attoriale. Corinne Winters, quarantenne soprano nativa del Maryland che la scorsa estate ha interpretato con grandissimo successo questa parte a Salzburg, ha impersonato la protagonista mettendo in evidenzia qualità vocali e drammatiche di prim’ ordine. Oltre a uno strumento vocale di bella qualità per colore ed espansione, tecnicamente amministrato assai bene, la cantante americana possiede una personalità interpretativa di assoluto rilievo e ha reso efficacemente tutte le sfumature della figura di questa sorta di Emma Bovary slava, culminando in una scena finale interpretata con straordinaria intensità. Eccellente anche la prova di Ida Ränzlöv, il giovane mezzosoprano svedese che in questi ultimi tempi si è segnalata in diversi ruoli negli spettacoli della Staatsoper, qui perfetta nell’ evidenziare la carica erotica e la disinvoltura sentimentale di Warvara. Molto brava anche Maria Riccarda Wesseling nel ruolo della oppressiva suocera Kabanicha. Tra le voci maschili, Elmar Gilbertsson era un Boris di bella voce e fraseggio assai centrato, così come l’ altro tenore principale Kai Kluge, che dopo il suo sorprendente Nemorino di qualche mese fa ha tratteggiato un ritratto scenico e vocale efficacissimo del seduttore Kudrjasch, l’ amante di Warvara. Molto bravi anche i due tenori caratteristi, Rainer Trost che impersonava Tichon, il marito di Katja, debole di carattere e succube della madre, e Torsten Hofmann, il principale caratterista dell’ ensemble di Stuttgart, nel ruolo di Kuligin che, in questa versione, ha ricevuto degli ampliamenti, soprattutto nella scena iniziale dell’ opera. Ottima anche la prova del basso Patrick Zielke, già applaudito come Hagen nella Götterdämmerung di poche settimane fa e che qui impersonava Dikoj, lo zio di Boris, prepotente e tirannico nei confronti del nipote. Il tutto era splendidamente messo in evidenza dalla direzione orchestrale di Tito Ceccherini, cinquantenne musicista milanese che a livello internazionale è conosciuto soprattutto come autorevole interprete del repertorio moderno e contemporaneo e che ha tenuto perfettamente in pugno lo svolgimento dell’ azione drammatica, dimostrando una ottima consapevolezza stilistica e ottenendo colori raffinati e sonorità di grande bellezza dalla Staatsorchester Stuttgart, che si conferma sempre di più come un complesso di alta qualità alla pari del coro preparato, per questa produzione, da Bernhard Moncado. Alla fine, successo trionfale per tutti gli interpreti in un teatro praticamente esaurito, e per me questo era un aspetto estremamente importante. Se il pubblico di Stuttgart riempie la sala anche per titoli al di fuori del repertorio più popolare, ciò significa che i cittadini amano il loro teatro e si riconoscono in esso. E questo, lasciatemelo dire, è uno tra i tanti aspetti che mi fanno amare la Germania e la sua vita culturale.
Una vera scoperta per me. L’ho visto a Salisburgo l’estate scorsa.
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Schön, dass sie die deutsche Tradition im Gefolge der Brod-Übersetzungen erwähnen. Bravo, Stuttgart!
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Sono veramente felice, non vedo l,’ora di assistere a questo che sento essere un grande trionfo https://media.tenor.com/XdgRXI0WZ-IAAAAM/roses-flowers.gif https://media.tenor.com/XdgRXI0WZ-IAAAAM/roses-flowers.gif
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