Antonio Juvarra – “Garcia contro Garcia”

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Il primo articolo del 2023 è, naturalmente, il consueto post mensile di Antonio Juvarra, questa volta dedicato a una disamina critica della figura di Manuel Garcia jr., il celebre maestro di canto dell’ Ottocento. Buon anno ad Antonio e a tutti voi che frequentate questo spazio!

GARCIA CONTRO GARCIA

La didattica vocale attuale non ha ancora preso coscienza e rimediato a un (mis)fatto: l’ opera di ‘demolizione controllata’ dei principi fondativi della tecnica vocale belcantistica, attuata da Manuel Garcia jr., tuttora considerato da molti musicologi e maestri di canto come un maestro, se non IL maestro del belcanto, invece che, come in realtà fu, il sovvertitore (o sabotatore) del tecnica vocale belcantistica. Questa opera di demolizione risulta insidiosa e difficilmente riconoscibile perché celata dietro la facciata dell’ ossequio formale alla tradizione dei Tosi, dei Mancini e dello stesso padre, Manuel Garcia senior, della cui scuola il nostro si dichiarava abusivamente il continuatore. La confusione di idee che ancora regna nel mondo del canto sul vero ruolo svolto da Garcia jr. nella didattica vocale è testimoniato da questa presentazione della sua figura, quale appare su Wikipedia:

“Manuel García figlio viene concordemente ricordato come il più illustre docente di canto dell’800 e ciò sia in forza della pubblicazione, dal 1840 al 1847, dell’ opera più importante scritta in materia, il Traité complet de l’ Art du Chant sia per l’ invenzione del laringoscopio nel 1855. (….) García ebbe il grande merito di superare il carattere empirico della precedente didattica del canto, sostanziandola con approfondite nozioni di fisiologia. Egli, che Rodolfo Celletti ha definito “il maggior teorico della scuola vocale rossiniana”, codificò e sistematizzò i precetti e i princìpi appresi dal padre che coincidevano con quelli derivanti dalla tradizione settecentesca dell’ arte del canto.”

Sorvolando sull’ affermazione temeraria, secondo cui la “più importante opera scritta in materia” (di tecnica vocale) sarebbe il trattato di Garcia junior e non, come in realtà è, quello di Giambattista Mancini, che lo precede di settant’ anni, la contraddittorietà di queste due affermazioni (“aver superato il carattere empirico della precedente didattica del canto” e “aver codificato e sistematizzato i precetti e i principi” di questa stessa tradizione) è autoevidente e il fatto che ancora non ci sia chi rende conto del corto circuito logico da essa generato dà l’ esatta misura del grado di condizionamento culturale esercitato sugli ‘addetti ai lavori’ dall’ ideologia foniatrica sedicente ‘scientifica’. L’ operazione (perfettamente riuscita) di falsificazione, svolta da Garcia, è consistita insomma nel mettere vino nuovo e adulterato (il meccanicismo vocale foniatrico) in botti vecchie (la didattica vocale belcantistica). Che si sia trattato di una falsificazione consapevole è comprovato dalla testimonianza del baritono Charles Santley, che testimoniò: “Garcia insegnava canto e non chirurgia. Sono stato suo allievo per un anno e suo amico per tutta la vita e non l’ ho mai sentito dire una sola parola su faringe, laringe, glottide e qualsiasi organo vocale.”

Una testimonianza di questo tipo non si concilia certo con le dichiarazioni ufficiali di fede scientista di Garcia, ad esempio questa: “E’ necessario sapere che le labbra della glottide possono vibrare in modo uguale o quando le estremità posteriori sono messe in contatto (tramite il collegamento dei processi interni delle aritenoidi) o quando le estremità sono separate…”. Se Garcia considerava necessaria la conoscenza di questi dati scientifici per gli studiosi della voce, ma la riteneva superflua o nociva (tanto da tacerla a lezione) per i suoi allievi di canto, allora occorre rivedere radicalmente i rapporti che si possono stabilire tra scienza e didattica vocale. Un nuovo dr. Jekyll e Mr. Hyde quindi? È molto probabile, nel qual caso si sarebbe verificato nella storia del canto un paradosso ironico: mentre quasi tutte le scuole di canto che sono venute dopo di lui hanno dato per buone e fatto proprie le assurdità meccanicistiche esposte nel suo trattato, lui invece se ne tenne alla larga e ne rimase immune, trasmettendo un altro tipo di insegnamento, non meglio identificato. In effetti l’influenza esercitata sulla didattica vocale successiva, compresa quella attuale, dal Garcia del Trattato è stata così pervasiva che è tempo ormai di avviare una revisione storica radicale della sua figura e delle sue teorie. Per dare un’idea del grado di questa influenza fuorviante mi limito a citare due casi eclatanti: quello di un celebre tenore, Aureliano Pertile, e quello di un autorevole storico della vocalità, Rodolfo Celletti. Incredibilmente entrambi fecero propria acriticamente, quasi per condizionamento culturale inconscio, la teoria anti-acustica e anti-belcantistica delle vocali geneticamente modificate e dell’ oscuramento della voce, introdotta nel canto proprio da Manuel Garcia jr.

L’ adesione di Pertile a questa teoria rappresenta, metaforicamente parlando, un caso di schizofrenia, essendo palesemente contraddetta dal suo stesso modo di cantare. Si stenta infatti a credere che un cantante divenuto celebre per la purezza della sua vocalità sia lo stesso che ha scritto:

“Le vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’, ‘u’, non si devono usare nel canto col medesimo colore della lingua parlata. Infatti la ‘a’ deve essere pronunciata ‘ao’; la ‘ò’ come ‘o’ chiusa, la ‘i’ come ‘i’ francese, la ‘e’ come ‘eu’, la ‘u’ come ‘uo’.”

È chiaro che una bestialità del genere, che è tutta farina del sacco di Garcia, trova la sua clamorosa (e felice) smentita proprio nel Pertile cantante, che mai si è sognato di cantare: “Aomor ty vyeutao”, ma sempre e solo: “Amor ti vieta”. Stessa bestemmia antibelcantistica verrà riproposta da quel musicologo a cui è stato attribuito il merito della “rinascita belcantistica” della seconda metà del secolo scorso, Rodolfo Celletti, il quale sulla stessa scia elaborerà il concetto di “suono intervocalico”, concetto il cui equivalente in assurdità sarebbe, nell’ ambito dell’intonazione, “suono intertonale”. Ora è evidente che, come il concetto di “suono intertonale” potrebbe essere solo un eufemismo per indicare una nota stonata, così il concetto di “suono intervocalico” può essere solo un eufemismo per indicare una storpiatura fonetica e obiettivamente nient’ altro che una storpiatura fonetica (ovvero una forma di distorsione acustica) sono le vocali “oscurate” e “miste” di Garcia.

Evito di citare qui le decine di affermazioni, tutte ispirate alla teoria di Garcia delle “vocali miste” e dell’ oscuramento della voce, fatte da grandi cantanti della seconda metà dell’ Ottocento e del Novecento. Il loro numero è impressionante. Tanto per dare un’ idea dell’effetto ipnotico esercitato dalle teorie di Garcia sulle menti dei cantanti e dei maestri di canto del passato e del presente, mi limito a elencare qui tra le ‘vittime’ di questo ipnotismo i nomi di Jean de Reszke, Mattia Battistini, Mathilde Marchesi, Gilbert Duprez, Leone Giraldoni, Giovanni Sbriglia, Amelita Galli Curci, Lilli Lehmann, Aureliano Pertile, Pasquale Amato, Nellie Melba, Francisco Vinas, Hypolito Lazaro, Giuseppe Danise, Giuseppe De Luca, Riccardo Stracciari, Mirella Freni, Fiorenza Cossotto, Raina Kabaivanska. Quanto di ‘scientifico’ ci sia nel ripetere a mo’ di filastrocca, come hanno fatto questi cantanti e maestri di canto, le trovate di Garcia, lo si può capire da questa affermazione di Mirella Freni, che così espone la sua teoria fanta-fonetica secondo cui mescolando una vocale centrale con una vocale posteriore, questa diventerebbe (magicamente)….anteriore, che è come dire che mescolando il verde col marrone, si ottiene come risultato il giallo:

“La vocale ‘A’ io per natura sono portata ad aprirla, anche parlando, e così mi va indietro. Devo quindi cercare di metterla più avanti, mischiandola con un po’ di ‘O’: così viene fuori la ‘A’ giusta. Questo si deve anche studiare: si deve cercare di mischiare le vocali.”

Non rientrano nella categoria dei succitati pappagalli teorici di Garcia i cantanti che hanno fatto uso del concetto di “copertura”, attribuendo però ad esso non il significato di oscuramento diretto del suono, bensì di effettuazione del passaggio di registro, uno dei cui EFFETTI è, come si sa, un leggero oscuramento del suono. Tra questi si possono citare Corelli, Bergonzi, Nicolai Gedda e Pavarotti.

Il fatto che un cospicuo numero di grandi cantanti abbiano concepito, sulla scia di Garcia, la rotondità del suono come effetto dell’ oscuramento intenzionale del suono e/o del ricorso alle vocali miste, potrebbe insinuare il dubbio che la teoria di Garcia sia giusta. Per fugare ogni dubbio basta la semplice constatazione di questi fatti:
1 – se per più di DUE secoli, dalla nascita del canto operistico alla nascita del ‘canto foniatrico’ (ossimoro) nella prima metà dell’ Ottocento, nessun cantante ha mai sentito il bisogno di concepire l’ idea della modificazione genetica delle vocali e dell’oscuramento del timbro come mezzi tecnico-vocali necessari per arrotondare il suono, questo significa solo una cosa: che questa esigenza non è reale, ma è solo un trucco per tamponare artificialmente uno squilibrio acustico, che non si sa come sanare in modo naturale, cioè reale;
2 – la teoria, elaborata dalla foniatria francese dell’ Ottocento, secondo la quale il potenziamento dell’ orchestra e la maggiore ampiezza dei teatri avrebbero reso necessario un cambiamento della tecnica belcantistica, con l’ introduzione degli espedienti delle vocali miste e della voce oscurata di Garcia, è un vero e proprio falso storico ed è smentita dal fatto che opere non propriamente ‘settecentesche’ come Guglielmo Tell, Semiramide, Norma e Nabucco furono eseguite per la prima volta da cantanti che ignoravano completamente questi espedienti e cantavano quindi avendo come riferimento il principio belcantistico della vocale pura e non modificata.

A questo punto si rende necessaria un’ analisi del concetto di ‘oscuramento del suono’ e di ‘mescolamento delle vocali’, che evidentemente a molti maestri di canto e cantanti del passato e del presente è parso come l’ uovo di Colombo in grado di risolvere il problema della tendenza allo schiacciamento del suono andando nella zona acuta e che invece è solo un espediente che porta alla distorsione acustica.
La confusione di idee nasce da questo fatto: salendo al settore acuto, ad una certa altezza tonale avviene il cosiddetto ‘passaggio di registro’. Si tratta di un fenomeno di modificazione dei rapporti tra muscoli intralaringei, che acusticamente si manifesta come CHIUSURA FONETICA delle vocali e ha come EFFETTO un leggero oscuramento del suono. Dalla constatazione di questo fatto Garcia e le centinaia dei suoi seguaci hanno dedotto erroneamente che allora il cantante per arrotondare il suono deve scurirlo intenzionalmente, addirittura qualche nota prima del passaggio di registro. Questo è a tutti gli effetti un madornale abbaglio, paragonabile a quello di chi, avendo constatato che l’ accensione di un motore ha come EFFETTO la produzione di calore, ne deducesse che allora per accenderlo occorre riscaldarlo.

OSCURARE INTENZIONALMENTE IL SUONO PORTA A DISTORCERLO. Significa spegnere o offuscare quella ‘scintilla’ iniziale, che accomuna tra loro l’ avvio del suono cantato e l’ avvio del suono parlato: entrambi avvengono infatti per concepimento mentale im-mediato (cioè non mediato dalla razionalità) ed è questo a determinare la purezza e la limpidezza del suono. Si tratta di un principio fonetico-acustico fondamentale del belcanto, che ha determinato l’ ineguagliabile superiorità di questa scuola (che aveva come fine la risonanza libera della voce) rispetto alle moderne scuole della risonanza forzata della voce, di cui Garcia jr. è stato l’ iniziatore.

Per evidenziare l’importanza del principio fonetico-acustico del concepimento mentale della vocale pura come origine e ‘condicio sine qua non’ del canto di alto livello, i belcantisti hanno via via elaborato nel corso della storia del canto concetti come “suono franco” (Tosi), “suono purgato” (Mancini), “suono pronto” (Mengozzi), “suono sorgivo” (Lauri Volpi), “suono vero e puro” (Caruso). Ora è evidente che l’ idea (contraria) di iniziare il suono avendolo manipolato artificialmente con l’intenzione di scurirlo ha come risultato l’ ‘inquinamento’ acustico del suono, che da “sorgivo”, “vero” e “puro” diventa, volendo ricorrere alla terminologia belcantistica, “affettato” (cioè artificiale), “sepolcrale” e “spento” (Mancini). In effetti la “voix sombrée” ossia la voce oscurata (intenzionalmente) non è altro che un surrogato del ‘chiaroscuro’ belcantistico, privato demenzialmente del ‘chiaro’; non è altro che la fuliggine messa sopra i colori meravigliosi di un affresco. Per contro, quello che si chiama (in senso positivo) “suono brunito” è un suono che ha trovato la sua naturale rotondità grazie all’ apertura morbida della gola, ma senza nessuna intenzione diretta di renderlo scuro.

Occorre in fine far presente un fatto ironico e insospettabile, che molti ignorano: l’ oscuramento intenzionale del suono e la modificazione delle vocali sono esattamente lo stesso espediente usato dal bambino quando, per imitare i cantanti lirici, ‘fa il vocione’. È insomma come l’ uovo di Colombo, nel senso che è un modo per fare stare in piedi un uovo, ma col piccolo inconveniente di romperlo. Nel caso della voce cantata la ‘rottura dell’ uovo’ corrisponde all’ ingrossamento del nucleo del suono come conseguenza dell’ averlo voluto scurire, ignorando che il suo nucleo lucente (che promana direttamente dalla vocale pura del parlato) non può mai essere ingrossato (come ha affermato persino Mario Del Monaco) e che la spaziosità e la rotondità del suono cantato vengono attinte da un’altra fonte: la distensione espansiva dell’inspirazione naturale globale.

Ma torniamo un attimo alla vicenda di Garcia. L’evento (che ricorda un po’ la fiaba dei vestiti invisibili del re nudo), che ebbe luogo quasi due secoli fa a Parigi con la pubblicazione, prima, della Memoria riguardante la voce umana e, poi, del Trattato completo dell’arte del canto ha in sé dell’incredibile: uno spagnolo naturalizzato francese (Garcia per l’appunto) riuscì nell’impresa di far credere (ai francesi!) che una coppia di vocali come ‘E’/’EU’ non fossero due vocali diverse (come in effetti sono!), ma fosse la stessa vocale prima e dopo la sua ‘correzione’ tecnico-vocale. Che un mondo culturale come quello francese, così raffinato ed educato al principio cartesiano delle idee chiare e distinte, abbia potuto dare per buona e accettare una trovata grossolana come questa di Garcia, che mina la stessa comprensibilità del testo cantato (dato che in francese, giusto per fare un esempio, vocaboli come ”père’ o ‘mer’, se pronunciati con una ‘e’ mista invece che con una ‘e’ aperta, cambiano totalmente il loro significato) ha appunto dell’incredibile ed è spiegabile solo in un modo: la soggezione culturale esercitata già a quel tempo dal moderno idolo della ‘Scienza’. Questo è probabilmente il motivo per cui Garcia pensò bene di dare alle sue trovate bislacche una confezione scientifica, senza la quale sarebbe passato alla storia solo come un cantante fallito, figlio di un celebre tenore e fratello di due rinomate primedonne, che aveva pensato di scrivere uno strampalato e velleitario trattato di canto.

Lo stravolgimento, attuato da Garcia, dei principi tecnico-vocali del belcanto fu duplice. Il primo, cui abbiamo già accennato, è di carattere fonetico-acustico e si espresse con due teorie, entrambe clamorosamente infondate: quella, già citata, secondo cui, andando nel settore acuto della voce, determinate vocali dovrebbero essere ‘mescolate’ con vocali posteriori (in realtà, come abbiamo visto, questa operazione di ‘aggiustamento’ non è altro che una SOSTITUZIONE con ALTRE vocali), e l’ altra che è la teoria delle due voci: la voce chiara e la voce scura. A proposito di questa seconda teoria si può dire che credere all’ esistenza di una ‘voce chiara’ e di una ‘voce scura’, concepite come due modelli distinti dello spazio di risonanza, è come concepire i due lati di una moneta come due entità separate. Ora è evidente che il concetto belcantistico di ‘chiaroscuro’, con cui i belcantisti facevano riferimento alla struttura bipolare del suono, frutto della fusione di lucentezza e rotondità brunita, non è qualcosa di divisibile in due spezzoni, ma rappresenta un’ unità vivente inscindibile, assimilabile all’ orientale yin-yang, e non ha quindi nulla a che fare con la teoria ‘schizofonica’ della voce bicolore di Garcia.

Tutte queste considerazioni ci danno l’ idea del grado di deviazione dai principi del belcanto, introdotta nello studio del canto da Garcia jr. Pertanto vedere in lui, come ha fatto Celletti, “il maggior teorico della scuola vocale rossiniana” è un abbaglio che può figurare solo in una fantastoria del belcanto. A questo proposito è il caso di ricordare un fatto clamoroso: la teoria delle “vocali miste” non era affatto condivisa dal padre di Garcia, il celebre tenore di Rossini, il quale in un suo metodo di canto, in ossequio ai principi del belcanto italiano, aveva scritto a chiare lettere che la voce andava esercitata con le “CINQUE VOCALI ‘A’, ‘E’, ‘I’, ‘O’, U’” ed è indicativo della tendenza ‘truffaldina’ di Garcia jr. il fatto che, pur avendo ignorato questa esplicita indicazione del padre, nella prefazione del suo trattato, scritto dieci anni dopo la morte del padre, abbia avuto la faccia tosta di spacciarsi come il continuatore della sua scuola di canto.

Il secondo stravolgimento, altrettanto se non più grave, della tecnica vocale belcantistica, operato da Garcia jr., è l’ introduzione del meccanicismo muscolare nello studio del canto. Secondo la concezione del belcanto il controllo REALE della voce è di tipo senso-motorio e olistico. L’ ideologia foniatrica definirà “empirica” questa concezione (ovviamente dando all’ aggettivo una connotazione negativa) e ad essa contrapporrà una nuova concezione del canto, definita ‘scientifica’. In realtà, poiché la fonazione umana si basa fisiologicamente su un controllo muscolare indiretto e appunto senso-motorio e non meccanico della voce, è il caso una buona volta di fare piazza pulita delle mistificazioni foniatriche, definendo, al contrario, ‘scientifica’ (in quanto basata sulla realtà fisiologica della fonazione) la didattica vocale belcantistica e ‘fantascientifica’ (in quanto basata su mere utopie pseudo o paleoscientifiche) la didattica vocale foniatrica.

Garcia, che riceverà una laurea ‘honoris causa’ in medicina da un’ università tedesca, inaugura appunto nello studio del canto questo secondo tipo di controllo ‘foniatrico’, considerato più preciso (in realtà solo più grossolano e rudimentale) e cioè il controllo muscolare diretto e localizzato degli organi vocali. Ed è da qui che derivano gli insensati tormentoni dell’“abbassa la laringe” e dell’“alza il palato molle”, che ancora oggi si possono sentire in quasi tutte le scuole di canto e che sono la formula perfetta per trasformare lo spazio di risonanza della voce in un tubo verticale (Garcia parla ripetutamente di “tubo sonoro” e di “tubo flessibile” nel suo trattato) e quindi per produrre suoni INTUBATI (alla faccia della pretesa di essere dei continuatori della scuola del belcanto). A questo proposito ricordiamo qui ‘en passant’ che il ‘grammelot linguistico’ che da un certo momento in poi della sua carriera caratterizzerà la pronuncia del soprano Joan Sutherland, si deve alla decisione del marito Richard Bonynge di educare la sua eccezionale voce naturale coi principi della “voix sombrée” di Garcia, rendendone così incomprensibile la pronuncia, da perfettamente comprensibile che era prima del ‘trattamento Garcia’. Per quanto riguarda invece le sue agilità belcantistiche, che solo alcuni cantanti possiedono, queste non sono il frutto della ‘tecnica’ di Garcia o di qualsiasi altra tecnica, ma, come già aveva chiarito Mancini nel suo trattato di autentico belcanto, fanno parte di una dote innata che può essere solo migliorata con lo studio, ma non creata dal nulla.

Benché nel suo trattato Garcia ponga lo ‘stampino’ della voce chiara sullo stesso piano dello ‘stampino’ della voce scura, è evidente che la sua predilezione è per la ‘voce scura’, non a caso considerata, in una Memoria presentata poco prima dai foniatri Diday e Petrequin all’Accademia delle scienze di Parigi, come “una nuova specie di voce cantata”, ovvero come la tecnica vocale del futuro. Da questo punto di vista essa rappresenta l’ anticipazione in tutto e per tutto di quella (famigerata) tecnica vocale novecentesca, nota come “affondo”. Garcia la descrive infatti così:

“Col colore oscuro il velo palatino deve alzarsi tanto da chiudere completamente l’ apertura posteriore delle fosse nasali, mentre la lingua viene retratta alla sua base dall’ abbassamento della laringe. La colonna d’ aria, innalzandosi verticalmente, andrà a battere contro l’ arco palatino; il suono si produrrà rotondo, pieno e oscuro e sarà quella che in Francia chiamiamo “voce mista” o “voce oscurata”. (….) Col colore oscuro il velo palatino si alza mentre la faringe si dilata. Questa dilatazione si rende particolarmente evidente quando il cantante dà alla sua voce tutto il volume che essa può avere. Questa esorbitanza di volume non può effettuarsi che nelle condizioni del colore oscuro e in seguito a violenti tentativi.”

L’ ambizione di Garcia di dare una forma sistematica e scientifica allo studio del canto, superando la “vaghezza”, la “approssimazione” e l’ “incompletezza” che a suo avviso caratterizzavano i trattati antichi di Tosi e Mancini, lo porta a fare sua la tendenza razionale di origine cartesiana a distinguere e schematizzare, che è la matrice da cui derivano concetti statici come ‘voce chiara’ e ‘voce scura’. Il risultato sarà una serie di contraddizioni logiche che evidenziano i limiti della sua concezione del canto anche sul piano teorico. Ad esempio, la sua affermazione secondo cui le configurazioni che il padiglione acustico (quello che oggi viene chiamato ‘vocal tract’) può assumere, sono infinite, non si conciliano con la sua decisione di estrapolare da questa infinità cangiante e mobile due forme fisse ‘ideali’, quali sono appunto la ‘voce chiara’ e la ‘voce scura’. Le contraddizioni si aggravano e si moltiplicano quando poi Garcia cerca di agganciare questi due contenitori prefissati al fenomeno fonetico delle vocali aperte e delle vocali chiuse. Il tentativo produce un risultato assurdo, che è quello ‘eternato’ nella versione italiana del trattato, quale ancora è pubblicata da Ricordi: secondo Garcia infatti a caratterizzare foneticamente il modello della ‘voce scura’ sarebbero le vocali ‘E’ chiusa, ‘O’ chiusa e ‘U’, mentre a caratterizzare il modello della ‘voce chiara’ sarebbero le vocali ‘E’ aperta, ‘O’ aperta e ‘A’. In questo modo noi dovremmo credere alla teoria fanta-acustica secondo cui la vocale ‘E’ chiusa, che è una vocale anteriore, è un suono più scuro della vocale ‘O’ aperta, che è una vocale posteriore. Verrebbe da commentare: se questa è scienza….
Che cosa ha indotto in errore Garcia? Come abbiamo visto prima, il passaggio al registro acuto consiste nella chiusura fonetica delle vocali e ha come effetto collaterale (da non indurre volontariamente!) un leggero oscuramento del suono. Questo è il motivo per cui in Italia i termini usati da Garcia, “timbre clair” e “timbre sombre”, verranno tradotti, rispettivamente, “timbro aperto” e “timbro chiuso”, facendo riferimento appunto alla chiusura fonetica e al leggero oscuramento (indiretto!), che caratterizzano i suoni oltre il passaggio di registro. Tuttavia ciò non toglie che una vocale come la ‘O’ aperta sia da un punto di vista fonetico-acustico, in quanto vocale posteriore, più vicina alla ‘O’ chiusa della ‘E’ e quindi naturalmente più scura, il che fa saltare ‘ipso facto’ la distinzione artificiale di Garcia tra una voce chiara e una voce scura, e questo è l’inconveniente che capita tutte le volte che si cerca di far entrare l’ infinità cangiante e mobile della realtà nei contenitori rigidi e prefissati, creati dalla razionalità.

Successivamente questo errore marchiano verrà corretto da Garcia introducendo la teoria delle vocali miste, che però ad un’ analisi più approfondita risulta essere un modo di tamponare il problema senza risolverlo. L’ idea è che andando nel settore acuto, per garantire lo spazio di risonanza necessario, occorre scurire il suono, il che può avvenire in due modi: pensando di scurirlo direttamente oppure mescolando una data vocale con una vocale posteriore. Garcia spiega così questa seconda procedura:

“Andando nella zona acuta, il cantante deve arrotondare leggermente e progressivamente la vocale (….) Il risultato di questo processo è il seguente: la ‘A’ si avvicina alla ‘O’ aperta; la ‘E’ aperta si avvicina alla ‘E’ chiusa e poi alla ‘EU’ francese; la ‘I’ si avvicina alla ‘I’ (Y) francese; la ‘O’ si avvicina alla ‘U’ italiana.”

Il fatto che un espediente del genere sia stato accettato in Italia è di per sé incredibile perché implica la necessità di francesizzare la pronuncia italiana, il che non si sa se sia più ridicolo o più assurdo. In un paese come l’Italia la cui lingua non conosce le vocali miste, si viene infatti a teorizzare seriamente che ‘Amarilli, mia bella’ deve essere cantato ‘Aomaorylly myao boellao”. (?!) Per rendersi conto fino in fondo dell’ assurdità di un’idea del genere, basta pensare che il suo equivalente contrario (trasformare le vocali miste in vocali pure) sarebbe rappresentato dalla prescrizione di pronunciare l’inizio dell’aria “Salut, demeure chaste et pure” usando per motivi ‘tecnico-vocali’ un francese maccheronico, ossia cantando “Salit, demere chaste et pire”.

In un paese con un residuo di dignità nazionale come la Francia ovviamente questa scemenza sarebbe stata subito rispedita al mittente. Invece in un paese esterofilo come l’ Italia, abituato a pronunciare alla francese (senza vergognarsi) nomi italiani (Platinì, Petruccianì, Padovanì…), c’era da aspettarsi questo e altro (magari anche l’ uso della erre moscia francese in sostituzione di quella italiana). Per altro occorre dire che non meno incredibile è che l’ espediente delle vocali pure modificate in vocali miste sia stato accettato in Francia e per questo motivo: la sostituzione di una vocale pura con una vocale mista può comportare, a differenza di quanto succede nell’ italiano, un cambiamento totale di significato, per cui, ad esempio, teoricamente può verificarsi il caso che una parola come ‘mer’ (mare), se cantata in zona acuta, diventi ‘meure’ (muore) o che una parola come ‘père’ (padre), se cantata in zona acuta, diventi ‘peur’ (paura). In ogni caso c’ è da rilevare che la trovata di ‘arrotondare’ (eufemismo) in questo modo le vocali è sempre stato il trucco dei cantanti di serie B di ogni epoca per tamponare un problema, se è vero che Mancini nel suo trattato ironizza sui cantanti che invece di cantare “mare” cantano “more”. Anche in questo caso insomma, come in quello della ‘maschera’ (liquidata ‘ante litteram’ da Mancini come “vizio del naso”) e in quello dell’affondo (liquidato ‘ante litteram’ come “cantare a gola piena con voce pesante e affogata”) il belcanto (che non è quello di Garcia jr.) aveva capito tutto. In altre parole, il belcanto non ragiona in termini di stampini prefabbricati in cui inserire le varie vocali (come succede teorizzando che la ‘A’ andando nella zona medio-acuta debba diventare ‘AO’), ma di vocali pure che, mantenendo rigorosamente intatto il loro nucleo, hanno solo bisogno, andando nella zona acuta, di uno spazio naturale globale, che è sì più ampio di quello del parlato, ma deve rimanere sempre duttile e ‘onnipotenziale’ nel senso che non è la razionalità del cantante a creare esattamente la forma dello spazio di risonanza (operazione impossibile da attuare con la razionalità), ma è la vocale stessa (intesa come archetipo subconscio) a farlo. In altre parole, la vocale pura, che rende possibile la risonanza libera del canto, non è qualcosa che deve adattarsi a una cavità di risonanza prefissata che la contenga, ma È ESSA STESSA LA CAVITA’ DI RISONANZA.

È infatti il concepimento mentale (pre-razionale) della vocale pura (che non è altro che la vocale parlata) a generare il nucleo di luce del vero suono e l’ articolazione è il prodigioso sistema naturale di sintonizzazione, grazie al quale questo nucleo viene automaticamente e continuamente rigenerato durante il canto, mantenendo agile la voce e producendo quella che è chiamata ‘linea del canto’.

Questa è in sintesi la differenza tra il concepimento mentale im-mediato del suono del belcanto e la fabbricazione razionale di determinate configurazioni muscolari delle tecniche vocali foniatriche. In questo senso la teoria della ‘voce chiara’ e della ‘voce scura’ e il relativo ‘libretto d’istruzioni’ meccanico-muscolare, che spiega come attuare le rispettive configurazioni dello spazio di risonanza, sono a tutti gli effetti l’ anticipazione diretta delle famigerate “figure obbligatorie” di Jo Estill, ossia modalità rozze per trasformare il flusso vitale del suono in stampini morti.

Con Manuel Garcia jr. nasce così anche un altro fenomeno: l’ intellettualizzazione del canto, operazione non riconoscibile in quanto tale, perché riguardante oggetti ‘concreti’ come muscoli, cartilagini e sfinteri. Grazie ad essa, a partire dalla seconda metà dell’ Ottocento fino a oggi, per imparare a cantare è diventato obbligatorio riprodurre mentalmente la fonazione immaginando come essa si svolge sul piano anatomico-muscolare, quindi immaginando di azionare le corde vocali, di alzare il palato molle, di abbassare il diaframma ecc., invece che ricreandolo semplicemente e im-mediatamente (ossia senza mediazioni intellettuali) grazie alla coscienza sensoriale, ovvero rimanendo al CENTRO del fenomeno e non andando alla sua periferia.

Garcia tocca l’apice dell’utopia scientifica del controllo muscolare diretto della fonazione con l’ invenzione del “colpo di glottide”, massima espressione del meccanicismo della scienza dell’ Ottocento nonché vero e proprio esempio di grottesco surreale. Al giorno d’oggi si tende a considerare il colpo di glottide come un semplice lapsus, un abbaglio irrilevante, preso da Garcia, ma così non è. Al contrario, Garcia attribuì sempre a questo concetto un’ importanza fondamentale, a tal punto da riproporlo anche dopo che esso diventò (giustamente) oggetto di feroci critiche da parte di cantanti famosi, tra cui Victor Maurel, il primo Jago e il primo Falstaff di Verdi, che addirittura incominciò a organizzare convegni pubblici, finalizzati a mettere in guardia la gente sulla pericolosità di questo espediente. A uno di questi convegni presenziò tra il pubblico anche Garcia, che però si guardò bene dall’ intervenire per cercare di spiegare e difendere la sua strampalata idea.

Questi sono i termini con cui Garcia parla nel suo trattato del ‘colpo di glottide’:

“Appena i polmoni saranno riempiti d’ aria, attacchisi il suono con tutta nettezza sulla vocale ‘A’ ben chiara mediante un piccolo colpo SECCO della glottide. (…) Il colpo di glottide sia preparato col chiuderla momentaneamente. Questa operazione ARRESTA e accumula l’ aria in quel posto; poi, come se per mezzo d’ una molla si schiudesse d’un tratto un’ uscita, la si apre mediante UN COLPO SECCO E VIGOROSO, non dissimile dall’ azione delle labbra nel pronunciare energicamente la consonante ‘P’. Questo colpo di gola può assomigliare anche all’ azione della volta palatina allorché esegue il movimento necessario all’ articolazione della sillaba ‘CA’.”

“Raccomando nuovamente di porre attenzione al colpo di glottide perché unicamente da questo dipende la purezza e la sicurezza nell’attaccare i suoni.”

“ATTACCARE IL SUONO giusto, secco, puro e caratterizzato da un colpo di glottide. Ciò dipenderà anche dalla conveniente disposizione della faringe, allontanando i pilastri e abbassando il velo palatino. Si osservino questi precetti scrupolosamente, ché da questi soli dipende la giustezza e purezza dei suoni.”

In sostanza “la purezza dei suoni”, che per i belcantisti era una conseguenza diretta dell’ autoavvio naturale del suono (da loro chiamato “suono franco” e “suono pronto”) viene fatta dipendere da un atto meccanico, che cerca di imitare l’ immediatezza dell’avvio del suono parlato e cantato, che avviene appunto per AUTOGENESI e NON per atto meccanico localizzato. Giovanni Battista Lamperti significativamente dirà in proposito, in evidente polemica con Garcia:

“Il primo suono deve iniziare come un’ autoaccensione, non come un fiammifero che, strofinato, si accende. È un processo di ‘liberazione’ non di ‘percussione’.”

In sostanza, il ‘colpo di glottide’ è la trasformazione in ‘atto scientifico’ dell’ attacco ideale del suono. Per realizzare questo scopo i belcantisti erano ricorsi a un espediente geniale: l’ esercizio dello staccato. Lo staccato è appunto il mezzo, usato dai belcantisti, per trapiantare nella voce cantata il servomeccanismo naturale dell’ auto-avvio del suono parlato, mantenendone immutata la scintilla, ma lasciandola nascere e divampare in uno spazio di risonanza più ampio, che è quello che distingue il canto dal parlato. Per contro, il ‘colpo di glottide’, che ne è la caricatura, è il modo ottuso (e criminale) con cui un laringomane dell’ Ottocento, Manuel Garcia, ha distrutto questo automatismo, sostituendolo con una manovra meccanica ‘manuale’, spacciata per ‘scienza’, e trasmettendo così alle generazioni future l’ utopia demenziale del controllo diretto delle corde vocali.

Si può dire in conclusione che il principio che sta alla base del colpo di glottide è lo stesso di tutto il meccanicismo vocale ossia: non è più il maestro di canto che va a lezione dalla natura, ma è la natura che, tragicomicamente, è costretta ad andare a lezione dal maestro di canto, da cui in questo caso dovrebbe imparare (addirittura!) come si adducono le corde vocali. Il risultato dell’ operazione sarà ovviamente, nel migliore dei casi, un’ ipertimbratura del suono, a cui il ‘maestro della natura’ darà, tutto orgoglioso, il nome roboante di “proiezione”. Chi al giorno d’ oggi, anche senza nominare il colpo di glottide anzi magari prendendone a parole le distanze, focalizza l’ attenzione dell’allievo sull’adduzione delle corde vocali invece che sulla vera prima causa naturale del suono, data dal suo concepimento mentale immediato, si rende responsabile di una complicazione artificiale e inutile della tecnica vocale, che impedirà per sempre il crearsi del fenomeno acustico della risonanza libera, tipica del canto di alto livello, altrimenti detto ‘belcanto’.

Antonio Juvarra

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