Antonio Juvarra – La mostrificazione foniatrica del canto

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Ricevo e pubblico l’ articolo mensile di Antonio Juvarra, questa volta dedicato agli aspetti estrinseci e intrinseci della respirazione nel canto.

LA MOSTRIFICAZIONE FONIATRICA DEL CANTO

(Prima puntata: gli attentati alla respirazione belcantistica)

Tra i vari aspetti della voce cantata di cui ha deciso di occuparsi (bontà sua!) la ‘foniatria artistica’, detta anche vocologia’, c’ è la respirazione: il risultato è stato la sua profanazione e degradazione ad anti-respirazione o ‘despirazione’, operazione paragonabile a un restauro della ‘Gioconda’ di Leonardo, effettuato nel modo illustrato nella foto. Storicamente questa operazione speciale di ‘restauro’ ebbe inizio nella seconda metà dell’ Ottocento, quando i foniatri francesi Diday, Petrequin e Mandl incominciarono a occuparsi di canto e introdussero nel canto quella che venne chiamata “respirazione addominale”, affermando che la respirazione applicata fino ad allora dai cantanti era totalmente sbagliata, anzi era da considerare come la causa della distruzione di moltissime voci (sic). La ‘demolizione controllata’, attuata dai foniatri, della respirazione naturale profonda del belcanto si svolse nell’ arco di più di un secolo e mezzo, con interventi vari, tutti accomunati da due nevrosi: l’ approccio meccanico-muscolare al respiro e la fobia dell’ innalzamento del torace in fase inspiratoria, divenuto da allora in poi un vero e proprio tabù. Paradossalmente la foniatria (che aveva debuttato nel 1855 prescrivendo con Louis Mandl un tipo di respirazione sbilanciato in basso e vietando ogni tipo di innalzamento del torace) circa un secolo e mezzo dopo, e precisamente nel 2015, arriverà a teorizzare tranquillamente anche l’ opposto, prescrivendo in fase inspiratoria un altrettanto insensato innalzamento volontario del torace e rientro dei muscoli addominali, e spacciando questo assurdo fisiologico come “respirazione belcantistica”.

Un esempio di questa ‘disinvoltura’ (o volubilità) teorica è il libro del vocologo Alessandro Patalini “La scuola del respiro”, un libro di fantastoria del belcanto, che cerca di far passare per buona la sua cervellotica teoria del rientro dell’“incavo dello stomaco” in fase inspiratoria come elemento strutturale della respirazione belcantistica (??), basando l’intero libro su un’unica frase (ambigua), contenuta nella prima edizione del trattato di Manuel Garcia jr. La respirazione è sempre stata considerata dai trattatisti del belcanto come “essenziale” e “fondamentale” per il canto. Tuttavia nessuno di loro aveva mai spiegato la modalità con cui si respira cantando e questo fatto a noi moderni, ossessionati dalla tecnologia (da non confondere con la tecnica vocale) suona strano se non contraddittorio. In realtà spiegare come si respira sarebbe parso ai belcantisti (ancora guidati da una concezione naturalistica del mondo) una cosa del tutto superflua e, questa sì, strana, così come lo sarebbe mettersi a spiegare a un adulto come si fa a bere un sorso d’ acqua.

La respirazione è una dimensione originaria dell’ essere, talmente originaria da precedere la nostra stessa coscienza di esistere. In effetti il nostro primo passo nel mondo noi non lo abbiamo fatto camminando (attività per apprendere la quale abbiamo impiegato un anno…), ma facendo il primo respiro, appena nati. Questo semplice fatto ci fa capire il grado di ottusa e ridicola presunzione di chi (appunto i foniatri francesi dell’Ottocento) per la prima volta ha pensato che la respirazione del canto sia qualcosa che deve essere appreso con controlli muscolari diretti (prima idiozia), che non sia naturale (seconda idiozia) e che a insegnarla possano essere dei foniatri che non hanno mai cantato (terza idiozia). Perché è nato questo clamoroso errore? Perché nel primo trattato belcantistico che parla di ‘modalità respiratoria’ (il ‘Metodo del Conservatorio di Parigi’ di Mengozzi, del 1804), l’ autore distingue due diversi tipi di respirazione, quella del parlato e quella del canto, ma senza affatto considerare la seconda una respirazione artificiale, come invece Mandl e con lui tutti i foniatri fino ai nostri giorni, hanno presunto. No, la respirazione del canto è altrettanto naturale della respirazione del parlato, esattamente come il correre è altrettanto naturale del camminare.

Qual è allora la differenza tra le due respirazioni? Prima differenza: quella del parlato è una respirazione naturale superficiale, mentre quella del canto è una respirazione naturale globale (o profonda). Entrambe sono respirazioni INVOLONTARIE (la respirazione volontaria essendo utilizzabile solo per un minuto durante una visita medica) Seconda differenza: la respirazione del parlato è una respirazione inconsapevole, mentre la respirazione del canto è una respirazione CONSAPEVOLE, che non vuol dire volontaria; (chi vuole capire realmente che cos’ è una respirazione volontaria, respiri attivamente per un’ intera giornata, disattivando l’ automatismo naturale, e alla fine della giornata si renderà conto del grado di assurdità di questo tipo di respirazione e di chi lo teorizza).

Precisato questo, si può dire che il vero e proprio MISFATTO, compiuto da Louis Mandl ai danni del canto, è duplice: aver concepito la respirazione del canto come una respirazione artificiale e aver stravolto il modello respiratorio belcantistico, descritto (malamente) da Mengozzi nel suo trattato. Mengozzi infatti aveva cercato (in maniera obiettivamente rozza e confusa) di spiegare l’ ovvio e cioè che la respirazione del canto, in quanto respirazione globale, non rimane limitata al livello epigastrico, ma si espande fino al torace facendolo naturalmente innalzare (motivo per cui si parla di ‘sospiro di SOLLIEVO’ e non di ‘sospiro di abbassamento’). Ora che cosa fece Mandl? CAPOVOLSE letteralmente il modello di respirazione di Mengozzi e, con la motivazione che inspirando il diaframma scende, non solo abbassò la respirazione a livello addominale, ma ne invertì la direzione, facendo dell’ inspirazione un movimento discendente invece che ascendente. È con Mandl che si afferma l’ approccio analitico-settoriale al canto, basato sulla logica del bianco e nero ossia dell’ aut aut. Affermare che l’ innalzamento del torace è di per sé segno di una respirazione parziale e “clavicolare” è sì un segno, ma solo dell’ idiozia di chi propone idee del genere. Il grado di questa idiozia uguaglia se non supera quella di chi prescrivesse di lasciare le braccia perfettamente immobili camminando, basandosi sulla ‘logica’ che si cammina con le gambe e non con le braccia.

In realtà, trattandosi di un gesto naturale GLOBALE, la vera respirazione del canto è contemporaneamente diaframmatico-addominale e toracica: è come un’ onda, che NASCE NEL CENTRO DEL CORPO, sale (non scende!), supera tutte le frontiere anatomiche e arriva alla sommità del petto, aprendo progressivamente tutti gli spazi. L’ atto originario da cui scaturisce è un atto di distensione ‘centrale’, che subito diventa espansione morbida e diffusa. In sostanza, non è possibile cogliere la vera INSPIRAZIONE, se non la si concepisce e realizza come ATTO PASSIVO-DISTENSIVO-ESPANSIVO. Pertanto l’ opposizione tra una respirazione diaframmatica e una respirazione toracica esiste solo nei libri di medicina. Nella realtà esiste un gesto unitario e globale che, volendo usare la terminologica medica (che procede sezionando e poi incollando), potremmo definire, volendo ricorrere a una grossolana approssimazione di tipo anatomico-foniatrico, ‘toracico-diaframmatico-addominale’.
Per la verità prima e dopo Louis Mandl erano esistiti studiosi del canto (il trattatista Bérard nel Settecento e il foniatra Mackenzie nell’Ottocento) che avevano capito che l’ opposizione respirazione diaframmatica/respirazione toracica è del tutto fasulla, ma, come spesso succede, ad affermarsi e a dare inizio a una tradizione, che purtroppo dura tuttora, sono spesso le teorie false e non quelle vere. Da allora si impose l’ idea farlocca secondo cui se inspirando un cantante lascia che si alzi il torace, significa che non ha attuato una respirazione diaframmatica, mentre se respira diaframmaticamente, non deve lasciare alzare il torace. In questo modo si ignora un piccolo particolare, sufficiente a far crollare questa costruzione teorica semplicistica: l’ innalzamento del torace è segno di una respirazione parziale e segmentata, SOLO SE NON nasce naturalmente nel centro del corpo (per poi salire fino al torace), ma invece nasce a livello toracico. C’ è da osservare inoltre che il modello di respirazione, proposto da Mandl, era decisamente addominale, cioè sbilanciato in basso, ed è da questa idiozia originaria che proviene l’ attuale vulgata, diffusa in tutte le scuole di canto di serie C, secondo cui “si respira con la pancia e non col torace”.

Di questo squilibrio la foniatria artistica prenderà presto coscienza, ma per sanarlo procederà col suo procedimento preferito, quello per divisione e addizione ossia cercando di incollare tra loro i pezzi, precedentemente scartati, del giocattolo che aveva smontato per vedere com’ è fatto. Ecco allora fare la sua apparizione, dopo la respirazione addominale, la respirazione diaframmatico-addominale e, successivamente, aggiungendo un altro pezzo, la respirazione costo-diaframmatico-addominale, dove per ‘costo-diaframmatico’ si intendono ovviamente solo le costole inferiori, perché guai a lasciare alzare tutto il torace e quindi anche le costole superiori! (Tralasciamo di dare un giudizio sul ‘foniatra-teologo del sesso degli angeli’, che è arrivato a formulare la teoria secondo cui la respirazione degli uomini sarebbe “diaframmatica”, mentre quella delle donne sarebbe “costale-diaframmatica).

nsomma, con contorsioni fisiche e mentali di questo tipo si capisce perché Louis Mandl poté arrivare a definire l’ appoggio respiratorio “lotta vocale”, che sarebbe come definire l’ atto del sedersi “lotta contro la sedia”. Nessuno dei moderni teorici foniatrico-vocali in effetti si chiede che rapporto logico ci sia tra il concetto di “lotta vocale” e il concetto di “appoggio”, e il motivo per cui non se lo chiedono è che, avendo snaturato la respirazione nei modi sopra descritti, non riescono neppure a immaginare che l’ appoggio sia la naturale emanazione e conseguenza dell’ inspirazione naturale globale. Esiste per fortuna un modo molto semplice per resettare il corpo, liberandolo da tutte le tensioni muscolari introdotte dalle aberrazioni foniatriche in materia di respirazione, e il modo consiste nello svuotarsi preliminarmente d’ aria, rimanere in apnea per una ventina di secondi finché si incomincia a soffrire per la mancanza di ossigeno e a quel punto ‘mollare la presa’ e OSSERVARE quello che (da solo!) fa il CORPO. In una situazione di emergenza come questa il corpo farà piazza pulita di tutti i giochini scemi delle respirazioni ‘tecniche’ e provvederà lui a respirare: quel respiro è il respiro del canto!

È importante a questo punto cercare NON di capire la modalità con cui è avvenuta quella respirazione per poi riprodurlo ‘tecnicamente’, ma di memorizzare la SENSAZIONE vissuta, per poi rievocarla senza tradurla-tradirla in concetti, ma lasciandola allo stato di sensazione. Questa sensazione, in fase inspiratoria, è quella di una ESPANSIONE morbida e diffusa, che nasce nel centro del corpo da un atto di DISTENSIONE, e da una contemporanea e graduale ELEVAZIONE, in cui consiste l’ESSENZA dell’inspirazione. A questo punto è chiaro che l’ espirazione corrisponderà al movimento contrario del respiro: la sua graduale DISCESA-APPOGGIO, dove la sensazione dell’ appoggio, come contatto morbido con la base elastica della muscolatura respiratoria, nascerà naturalmente nel preciso momento dell’ attacco del suono. Sia le sensazioni inspiratorie, sia le sensazioni espiratorie sono sensazioni di PIACERE e non hanno nulla a che a fare con le ‘respirazioni tecniche’ (alias anti-respirazioni). Questo è il motivo per cui un ignoto belcantista coniò la formula “respirare pensando di annusare un fiore o un aroma piacevole”, facendo capire in tal modo che la chiave della vera inspirazione del canto (che è la premessa dell’ espirazione) è la SENSAZIONE DI PIACERE.

È chiaro a questo punto che l’ idea moderna di respirare pensando di essere una ventosa o un aspiratore (ossia inspirando attivamente e meccanicamente invece che passivamente e naturalmente), non ha nulla a che fare con la vera respirazione del canto. In questo caso infatti ci si sarà posti all’ esterno del fenomeno tentando di imitarlo, invece di rimanere al centro del fenomeno o, più precisamente, ESSERE il fenomeno stesso, il che avviene se si evoca nella sua purezza integrale la SENSAZIONE originaria del respiro (che NON è FARE il respiro), non certo se si riproducono volontariamente (alias pseudo-tecnicamente) le azioni muscolari associate a quella sensazione.

In altre parole IL RESPIRO È LA SENSAZIONE DEL RESPIRO (vera identità) E NON LA SUA RIPRODUZIONE MECCANICO MUSCOLARE (falsa identità), per cui anche l’ inspirare (così come il parlare) non è da considerare un’ attività, ma un fenomeno naturale che deve essere messo nelle condizioni di AUTOREALIZZARSI in tutta la sua purezza e semplicità originaria e di cui dobbiamo avere solo la CONSAPEVOLEZZA e NON il controllo diretto, altrimenti, come una bolla di sapone, istantaneamente svanirà. Questo per un motivo molto semplice: la grossolanità intrinseca di OGNI movimento ‘tecnico-muscolare’ volontario e localizzato. Se ne deduce che ‘razionalità’ e ‘presenza mentale’ appartengono a due diverse dimensioni dell’ essere e fanno capo a due diverse facoltà: la prima è in grado di produrre solo l’imitazione meccanica esterna del fenomeno, la seconda è quella che crea il fenomeno stesso.
Il principio del PIACERE come chiave di accesso alla vera respirazione fa anche piazza pulita di un dilemma molto diffuso: respirare poca o tanta aria? È evidente che se il fine della respirazione è immagazzinare tanta aria, allora l’ inspirazione diventerà una manovra attiva che irrigidisce i muscoli; se invece il fine è respirare poca aria, l’ inspirazione verrà inibita e non potrà agire da ‘lievito’ che espande gli spazi interni.

Come si esce da questo circolo vizioso? Prescindendo completamente dall’ idea della quantità d’aria (poca o tanta) da inspirare e pensando che lo scopo della respirazione non è immagazzinare aria (fenomeno che avviene da solo), ma è VIVERE LA SENSAZIONE DI PIACERE DEL RESPIRO (la classica boccata d’ aria rigeneratrice). In questo modo noi metteremo il corpo nella condizione di espandersi naturalmente senza irrigidirsi (come succede se ci proponiamo di immagazzinare TANTA aria) e senza inibire questa espansione (come succede se ci proponiamo di immagazzinare POCA aria). In sintesi metteremo il respiro nella condizione di AUTOREGOLARSI, motivo per cui anche se l’ aria incomincia a uscire prima di aver avviato il suono, questo non costituirà un problema, ma anzi sarà qualcosa che faciliterà l’ avvio del suono, rendendo possibile il fenomeno belcantistico del canto detto appunto “SUL fiato”, espressione che deve il suo nome al fatto che sia nella voce parlata, sia nella voce cantata ogni avvio del suono avviene SU UN FLUSSO DI FIATO, che non inizia nel momento in cui inizia il suono ma lo precede, fenomeno naturale che rivela la totale insensatezza del concetto, elaborato dalla foniatria dell’ Ottocento, di “trattenere l’ aria” come sinonimo di appoggio, e del concetto, elaborato dalla foniatria del Novecento di “attacco simultaneo”.

Antonio Juvarra

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