Antonio Juvarra – Il “suono coperto” e il “canto sul fiato” secondo Bergonzi

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Come contributo per il mese di ottobre, Antonio Juvarra ci propone alcune interessanti considerazioni sulla tecnica vocale del grande Carlo Bergonzi, analizzando alcuni dei principi sulla quale essa si fonda. Buona lettura a tutti.

IL ‘SUONO COPERTO’ E IL ‘CANTO SUL FIATO’ SECONDO BERGONZI

In questo video sentiamo Carlo Bergonzi proporre ed esemplificare due concetti tecnico-vocali tanto importanti quanto controversi, il suono ‘coperto’ e il canto ‘sul fiato’, che qui chiariremo cercando di recuperare il vero significato che intendeva dare ad essi il celebre tenore parmense. Occorre premettere che mentre l’ espressione ‘canto sul fiato’ risale al belcanto italiano e più precisamente al castrato Crescentini, invece l’espressione ‘suono coperto’ è un prodotto della foniatria francese dell’Ottocento, che la introdusse nella didattica vocale, dando ad essa il significato di “suono oscurato, suono dentro” (citazione testuale), caratteristica che i foniatri francesi dell’ epoca pensarono (erroneamente) di aver individuato nella tecnica vocale dei cantanti italiani dell’ epoca.

Mentre una delle accezioni, attualmente in uso, del binomio ‘coperto/aperto’ (che è suono prodotto, rispettivamente, con e senza passaggio di registro), non produce contraddizioni logiche, invece il concetto di ‘suono coperto’ come sinonimo di suono oscurato intenzionalmente (come prescrive anche la ‘schizofonia’ della voce bicolore, introdotta nel canto da Garcia) determina un’ antitesi inconciliabile col concetto di suono ‘aperto’, che invece deve rimanere ad esso complementare. In questo senso quei moderni continuatori della “voce oscurata” di Garcia, che sono i seguaci del metodo vocale del cosiddetto ‘affondo’, si dimostrano fedeli al significato originario del termine ‘coperto’, ma è evidente che questo non può essere il significato attribuito ad esso da Bergonzi, notoriamente avverso ad ogni manipolazione innaturale del suono sulla scia dei principi del vero belcanto italiano.

Come abbiamo già accennato, esiste anche un significato ‘ristretto’ del termine ‘coperto’, che fa riferimento al meccanismo del passaggio al registro acuto e che prescinde (giustamente) dal concetto fuorviante di oscuramento intenzionale del suono. Ne dà un esempio Pavarotti in questo video:

Anche se dal confronto tra i due modi di emettere la nota Fa diesis, cioè, rispettivamente, senza aver fatto e avendo fatto il passaggio di registro, si può notare nel secondo modo un leggero oscuramento del suono, questo, nel caso di Pavarotti, è solo l’ effetto INDIRETTO del fenomeno del passaggio di registro, il quale, dal punto di vista fonetico-acustico, di per sé si caratterizza per la CHIUSURA FONETICA (e NON per l’ oscuramento intenzionale) della vocale. Occorre tener presente poi che in questo esempio la percezione di un leggero oscuramento del suono è accentuata dal fatto di aver scelto la vocale ‘A’ invece che una delle altre vocali. Che cosa succede infatti con la vocale ‘A’ al momento del passaggio che, ricordiamo, per un tenore lirico come Pavarotti avviene sulla nota Sol? (Infatti, a rigore, il Fa diesis dell’esempio è l’ ultima nota che un tenore lirico può fare legittimamente anche in modalità ‘aperta’, cioè senza passaggio di registro.)

Poiché, a differenza delle vocali ‘E’ e ‘O’, nel parlato la vocale ‘A’ esiste solo in modalità aperta e non chiusa, la sua conversione in vocale chiusa, che nel canto avviene all’ altezza del passaggio di registro, ha come effetto la riduzione della sua brillantezza naturale, brillantezza che però viene recuperata, salendo alle note più acute, motivo per cui una ‘A’ ‘coperta’, se cantata su un La o su un Si acuti, verrà percepita molto di più come ‘A’ che se cantata su una nota più bassa come il Fa o, come in questo caso, il Fa diesis. Addirittura cantanti ‘all’ italiana’ come Pavarotti (che quindi concepiscono le vocali come vocali pure e NON modificate, mescolate o oscurate) riescono a dare l’ illusione, cantando su note come La, Si e Do acuti, di aver lasciato aperte le ‘A’ (effetto che alcuni interpretano erroneamente come risultato di una fantomatica fusione tra registro di petto e di testa, invece che come transizione fluida e morbida da un registro all’ altro).

Passiamo adesso al significato, attribuito da Bergonzi ai termini ‘aperto’ e ‘coperto’ in questo video. Per capirlo dobbiamo interpretare i concetti di ‘suono aperto’ e di ‘suono coperto non come sinonimi di ‘suono chiaro’ e ‘suono scuro’ alla maniera di Garcia e dei foniatri francesi dell’ Ottocento (dato che Begonzi non si è mai proposto di scurire e manipolare i suoni) e neppure come sinonimo di suono effettuato senza passaggio e con passaggio di registro, ma nel seguente modo: posto che lo spazio di risonanza totale della voce è uno spazio bicamerale, che comprende la bocca e la gola, il suono ‘aperto’, esemplificato qui da Bergonzi, è semplicemente un suono ‘parziale’, nel senso che è emesso usando SOLTANTO (o prevalentemente) la cavità di risonanza della bocca, invece che entrambe, cioè: la bocca e la gola. Pertanto il suono ‘coperto’, anch’esso esemplificato in questo video da Bergonzi, non è da intendere come un suono scurito o intubato, ma come un suono emesso usando ENTRAMBE LE CAVITÀ, ovvero sia la cavità di risonanza della bocca (che gli conferisce brillantezza), sia la cavità di risonanza della gola (che gli conferisce rotondità).

Ovviamente con l’ espressione ‘usare la cavità della bocca’ non si intende proporsi (ingenuamente) di ‘portare’ il suono in quella cavità (operazione acusticamente impossibile), ma si intende lasciare che i movimenti articolatori (che si svolgono naturalmente nella bocca, da cui i concetti di ‘oralità’ e ‘orazione’) continuino a svolgersi naturalmente come quando parliamo, fenomeno questo che è la vera causa generatrice del suono ‘a fuoco’ e naturalmente brillante. Analogamente con l’ espressione ‘usare la cavità della gola’ non si intende LIMITARE il suono a quella cavità (operazione che darebbe come risultato un suono intubato e verticalizzato), ma si intende lasciare che la distensione espansiva, generata dall’ inspirazione naturale globale, apra morbidamente la gola, arrotondando così naturalmente il suono, ma lasciando liberi e ‘normali’ i movimenti articolatori. Ora, poiché la gola è un ‘edificio’ a tre piani, il cui piano più alto, la rinofaringe, è dietro il naso, si capisce come proprio da qui derivi quel senso di ‘dominare dall’alto’ la voce, che è implicito nel concetto di ‘copertura’ (un ‘coperchio’, infatti, sta per definizione sopra la pentola e non sotto…)

Che per ‘suono coperto’ Bergonzi non intenda il suono scurito e verticalizzato, cioè intubato perché isolato dalla cavità di risonanza (la bocca) che genera la brillantezza, è dimostrato in questo video dai due diversi modi di attaccare l’aria ‘Parmi veder le lagrime’, esemplificati da Bergonzi al minuto 0.44: il primo esempio (errato) rappresenta appunto il suono intubato (che per molti purtroppo è il modo con cui si ‘copre’ il suono), mentre il secondo esempio (giusto) rappresenta il suono ‘coperto’ correttamente, cioè un suono che fonde in sé la brillantezza naturale della risonanza orale e la rotondità morbida della risonanza faringea.

Passiamo ora ad analizzare l’ altro concetto utilizzato qui da Bergonzi: quello di canto ‘sul fiato’ (che, come abbiamo visto, è più antico del concetto di ‘suono coperto’, perché risale al castrato Crescentini). Usando i criteri della logica inferiore, il concetto di ‘canto sul fiato’ sembrerebbe un concetto assurdo in quanto implica l’ esistenza di due dati irreali: che il suono, che non è un oggetto, sia qualcosa di separato dal fiato e che scarichi su di esso un peso. Insomma, volendo usare la distinzione di Simone Weil, sembrerebbe un’ assurdità che getta ombra, invece che, come in realtà è, un’ assurdità che getta luce.

Dalla prospettiva della logica superiore invece (che è quella da cui sono scaturiti concetti scientifici come ‘campo di energia’ e ‘non località’) esso si rivela come quel fattore che sintetizza in maniera mirabile le due percezioni sensibili che creano il canto ovvero: c’ è qualcosa che galleggia e qualcosa che fluisce, e questi due fenomeni coesistono, collegati tra loro da un rapporto di indipendenza sinergica.
Si tratta di uno di quei casi (analoghi a quello della luce, di cui si dice che abbia contemporaneamente una natura corpuscolare e una natura ondulatoria) in cui uno stesso fenomeno mostra due facce opposte, che non si negano reciprocamente, essendo consustanziali.

In effetti, senza la componente del ‘galleggiare’ il suono sarebbe instabile e privo di quel radicamento e fondamento, cui è stato dato il nome di ‘appoggio’, mentre senza la componente del ‘fluire’ questa stabilità diventerebbe staticità monolitica, pesante e rigida. Aver attribuito al fiato la funzione di rappresentare l’ energia che (da sola) fluisce e ‘corre’, e al suono la funzione di rappresentare l’ entità (il cantante) che su di essa si appoggia e ‘rimane’ (e NON viceversa!), è la geniale scoperta del belcanto, che funge da vero e proprio orientamento e ‘visione’, indispensabili per cantare bene.

Da questo punto di vista si può dire che la concezione del rapporto fiato/suono, che vede da una parte il fiato come elemento mobile, che scorre, e, dall’ altra parte, il suono come elemento stabile, che galleggia SUL fiato, è preferibile a quella, proposta invece da Bergonzi nel video, del suono come elemento mobile che scorre SUL e COL fiato, e il motivo è che l’ idea del suono che si muove COL fiato tende a staccare la voce dalle sue radici, riducendo o annullando il senso dell’appoggio. Corretta invece la distinzione, proposta da Bergonzi, tra il GALLEGGIARE SUL fiato e l’ AFFONDARE SOTTO il fiato.

È superfluo infine ricordare che tutto questo si crea ‘in nuce’ grazie alla distensione espansiva dell’inspirazione naturale globale, senza la quale tutto rimarrebbe nella dimensione dello sterile mentalismo e non diventerebbe mai quel vissuto creativo che è il vero canto.

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