Antonio Juvarra – Scuole di anti-belcanto all’ insegna (comica) del belcanto

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Ricevo e pubblico il consueto post mensile di Antonio Juvarra. Come sempre ringraziandolo di cuore per la collaborazione, auguro a tutti una buona lettura.

SCUOLE DI ANTI-BELCANTO ALL’ INSEGNA (COMICA) DEL BELCANTO

Si moltiplicano le scuole di canto che si fregiano del titolo ‘belcanto’, tutte beatamente ignare dei veri elementi costitutivi di questa tecnica vocale, così come documentati in maniera chiara nei trattati dei classici del belcanto Tosi, Mancini e i due Lamperti. La confusione ormai è tale che si fa sempre più ineludibile l’ esigenza almeno di un ‘Bignami’ di tecnica del belcanto, che impedisca il proliferare e il consolidarsi delle panzane con l’ etichetta ‘belcanto’, tuttora in circolazione.

Attualmente imperversano sul web, dispensando indicazioni di pseudo-belcanto, tre sedicenti belcantiste: Astrea Amaduzzi, Gabriela Cegolea e Capucine Chiaudani.
La prima si è autoproclamata niente di meno che la “regina del belcanto”, mentre la terza, più modestamente (si fa per dire…), si definisce “l’ ambasciatrice del belcanto nel mondo”. Se, come è noto, il motto del belcanto è “si canta come si parla”, la suddetta sedicente ‘regina’ del medesimo lo ha capovolto, stabilendo il principio “NON si canta come si parla”. Il suo fake-belcanto infatti è a base di vocali geneticamente modificate (eufemisticamente chiamate “vocali adattate”), protrusione delle labbra, oscuramento-copertura dei suoni e ‘proiezione’ in maschera. Come prova della validità di queste prescrizioni la suddetta allega le testimonianze di grandi cantanti del Novecento, che hanno riproposto queste panzane, ovviamente senza che la ‘regina’ in questione si sia mai data la briga di verificare chi storicamente le ha introdotte per la prima volta nella didattica vocale. Scoprire che a farlo non sono stati questi cantanti (che si sono limitati a ripetere a pappagallo quanto appreso da qualche loro insegnante, indottrinato dalla foniatria), ma sono state persone che o non hanno mai cantato in vita loro (come i foniatri francesi dell’Ottocento Diday, Petrequin e Mandl) o persone che non hanno mai avuto una carriera vocale (come Manuel Garcia jr.) potrebbe far loro prendere coscienza della cantonata presa, ma non è detto, considerato che molti sono i cervelli che emulano il dapontiano scoglio, che eternamente “immoto resta”.

Da un altro versante (anch’esso opposto al belcanto) abbiamo una bizzarra signora rumena, tale Gabriela Cegolea, che in un suo libro teorizza invece “la deglutizione del suono attraverso l’esofago” e la “contrazione delle chiappe” come strumenti tecnico-vocali. Se si citano testualmente queste e altre idee del suo libro, si corre un serio rischio: essere denunciati per diffamazione e questo perché lei ha la faccia tosta di disconoscerle come proprie (a riprova della loro natura ‘imbarazzante’)
Il ‘belcanto’ che lei teorizza nel suo libro è belcanto come il conte Dracula è Lorenzo il Magnifico, ma a questo piccolo particolare, non propriamente trascurabile, lei si mostra sovranamente indifferente, impegnata com’è nel suo hobby preferito: pubblicare video di grandi cantanti e individuare i due o tre secondi in cui hanno cantato secondo i principi del suo fantabelcanto. Tutto il resto è da buttar via in quanto “canto di gola” e non “canto DI fiato” (sic).

La terza maestra di belcanto farlocco, che è quella di cui qui ci occupiamo, è una signora con un nome francese e un cognome italiano, Capucine Chiaudani. La sua non è una semplice scuola (ovviamente), ma è una “Accademia” del belcanto, che però, con un tocco ‘californiano’ (giusto per essere più filologici e belcantistici,…) ha pensato bene di chiamare ‘BELCANTO 4U ACADEMY’, intitolazione che subito si fa notare per l’ ‘italianità’ e l’ eleganza di quel grottesco ‘4U’. Nel suo sito si presenta come “ambasciatrice del belcanto nel mondo” e quanto questa sparata sia attendibile ce lo fa capire il motto seguente: “diventa un atleta della voce nella tradizione del belcanto!”, che è come dire: “diventa un graffitaro nella tradizione della pittura rinascimentale italiana!”

Il belcanto di questa signora è un belcanto foniatrico (che di per sé è già un ossimoro o, come minimo, un falso storico, dato che il belcanto è prefoniatrico) ed è illustrato con numerosi ‘tutorial’ e spezzoni di lezioni di canto. Da essi abbiamo estrapolato la seguente antologia di frasi, alcune delle quali semplicemente ‘similbelcantistiche’ e altre decisamente ‘antibelcantistiche’:

“Sentire la voce vuol dire avere un approccio atletico, muscolare al canto. Senti i tuoi muscoli, usa i tuoi muscoli per cantare! Il cantante è un atleta vocale.”
“Le consonanti ci aiutano a proiettare meglio le vocali. Quando la pronuncia diventa troppo morbida, noi perdiamo il contatto col corpo e con l’ appoggio. Vocalizzare solo sulle vocali può essere pericoloso.”
“Collegare il sistema dell’ articolazione col motore della voce!”
“Meglio chiudi le corde vocali, meglio controllerai il fiato.”
“Per acquisire il legato fare dei glissando, pensare di essere una sirena.”
“Per migliorare il controllo del fiato, verificare che le corde vocali siano bene addotte e offrano la giusta resistenza al fiato. Il primo appoggio è quello dell’ adduzione delle corde vocali. Non più aria, ma più resistenza all’aria! Dobbiamo allenare i muscoli per resistere all’aria.”
“L’equalizzatore della voce sono le labbra: protrudendo le labbra, allunghiamo il vocal tract, il che renderà il suono più scuro. Se non lo si fa, il suono sarà più chiaro.” “Noi siamo come degli chef, che usano diversi elementi per ottenere i vari ‘piatti’ vocali. Infatti, a differenza di quanto avviene col violino, il suono della voce non è già definito. Siamo noi a definirlo usando questi diversi elementi.”
“Diventare cosciente di quello che succede a livello delle corde vocali, garantendone la tonicità.” “Il tuo primo pensiero deve essere la giusta adduzione delle corde vocali”
“Garantire la giusta inclinazione della laringe. Nella zona acuta la massa delle corde vocali deve essere più sottile. Questo è il significato dell’ espressione ‘cantare leggero’.”
“Attivate il sostegno muscolare del collo in corrispondenza con l’ innalzamento del palato molle. I muscoli grandi del collo aiuteranno i muscoli piccoli della laringe. L’ ancoraggio del collo è molto importante.”
“La pronuncia delle consonanti deve essere attiva per mantenere il contatto col sostegno del fiato. Non dire le consonanti, cantarle. Occorre dare importanza alle consonanti. Ogni volta che c’è una consonante sonora, cantarla.”
“Introdurre una piccola ‘u’ per alzare il palato molle, abbassare la laringe, allungare il vocal tract e diventare più verticali.”
“Nella zona centrale e medio-acuta mantenere una posizione verticale, qual è quella creata dalla vocale ‘u’, che alza il palato molle e abbassa la laringe; nella zona acuta passare alla posizione orizzontale a sorriso.”
“Per creare il chiaro del chiaroscuro, contrarre lo sfintere ariepiglottico imitando il suono dell’ anatra e nasalizzando leggermente. Questo crea la proiezione del suono.”

Proviamo ad analizzarle, partendo dalle frasi decisamente anti-belcantistiche, la maggior parte delle quali riconducibili ai luoghi comuni dello sciocchezzaio foniatrico. La prima perla è rappresentata dalle seguenti affermazioni, un vero e proprio concentrato di riduzionismo materialistico-foniatrico, totalmente estraneo al belcanto:

“Sentire la voce vuol dire avere un approccio atletico, muscolare al canto. Senti i tuoi muscoli, usa i tuoi muscoli per cantare! Il cantante è un atleta vocale.”

Quando gli utopisti della tecnica vocale foniatrica come questa “ambasciatrice del belcanto” sostengono che il canto è una questione di muscoli, è perché pensano ingenuamente che la tecnica consista nella ricerca del muscolo magico (inesistente) che ti fa cantare. Ora questa signora, se non fosse ipnotizzata dai moderni ‘idola tribus’ della foniatria, si renderebbe conto che in realtà i ‘muscoli’ non appartengono alla dimensione dell’ esperienza sensibile, ma sono più un’ astrazione scientifica che una realtà. Infatti nessun essere umano ha mai appreso a camminare e a parlare, partendo dall’ idea di controllare determinati muscoli anzi, paradossalmente, all’ età in cui vengono apprese queste abilità motorie, tutti sono beatamente ignari del concetto stesso di ‘muscolo’.

La verità è che l’ essere umano si muove, cammina, parla e canta NON azionando direttamente singoli muscoli, ma EVOCANDO GESTI NATURALI GLOBALI. Questo è il motivo per cui la tecnica del belcanto, di cui i trattati sono una testimonianza, non ha mai dato alcuna importanza a questo aspetto pseudo-scientifico del canto, considerandolo mero “bagaglio in eccesso” (Giovanni Battista Lamperti). Ciò significa che chi, al contrario, fantastica di muscoli da controllare e di canto come fenomeno atletico, si pone per ciò stesso al di fuori della cultura e della tradizione del belcanto.
Corollario diretto dell’utopia dei muscoli è l’attenzione rivolta alla laringe e alle corde vocali, ANCH’ESSA TOTALMENTE ESTRANEA AL BELCANTO. Ignorando questo dato, che è in primis storico, la Chiaudani produce un’ altra sequela di perle nere foniatriche:

“Diventare cosciente di quello che succede a livello delle corde vocali, garantendone la tonicità.” “Il primo pensiero deve essere la giusta adduzione delle corde vocali.”“Per migliorare il controllo del fiato, verificare che le corde vocali siano bene addotte e offrano la giusta resistenza al fiato. Il primo appoggio è quello dell’ adduzione delle corde vocali. Non più aria, ma più resistenza all’ aria! Dobbiamo allenare i muscoli per resistere all’aria.” “Meglio chiudi le corde vocali, meglio controllerai il fiato.” “Nella zona acuta la massa delle corde vocali deve essere più sottile. Questo è il significato dell’ espressione ‘cantare leggero’.”

Questa concezione, che potremmo definire ‘laringocentrica’, è anch’essa, tanto per cambiare, un prodotto della cultura foniatrica. All’ origine del ‘laringocentrismo’ c’ è il processo di intellettualizzazione, cui a partire dalla seconda metà dell’ Ottocento, è stato sottoposto l’ insegnamento del canto. L’ intellettualizzazione è una forma di astrazione, cioè di allontanamento dalla realtà sensibile, realtà rappresentata nel nostro caso da quel fenomeno concreto chiamato ‘canto’, che viene sostituito da feticci anatomici e fantasmi mentali, scambiati per fatti obiettivi e creati nell’ illusione di poter diventare così sempre più precisi e ‘tecnici’. È così che gradualmente, senza accorgersi, si entra in quella dimensione ‘virtuale’, che è detta ‘cervellotica’ e ‘campata per aria’.

È paradossale che gli idolatri della laringe, che si riempiono la bocca con concetti come ‘funzionalità e ‘fisioanatomia’, ignorino che la fonazione (parlata e cantata) semplicemente NON PUO’ AVVENIRE azionando direttamente l’ adduzione delle corde vocali senza che mentalmente venga concepito un suono (parlato o cantato). Di conseguenza, raccomandare, come fa la Chiaudani, di garantire una perfetta adduzione delle corde vocali come mezzo per ottenere il suono giusto è tanto sensato quanto raccomandare a un pianista di azionare con le mani i martelletti invece di usare la tastiera. A che cosa corrispondono nel canto i martelletti e a che cosa corrisponde la tastiera? I martelletti corrispondono per l’ appunto all’ adduzione diretta delle corde vocali; la tastiera (che è la prima causa che mette in moto i martelletti) è rappresentata invece dal concepimento mentale del suono. È infatti il giusto concepimento mentale del suono che agisce come PRIMA CAUSA e come vera e propria ‘condicio sine qua non’ della vibrazione delle corde vocali. Così funziona realmente lo strumento ‘voce’. Tutte le altre sono utopie e astrazioni intellettualistiche, in quanto tali mai prese in considerazione seriamente dai belcantisti. Volendo ristabilire pertanto l’ordine reale delle cause del suono ben sintonizzato, è chiaro che quando la Chiaudani fa l’ esempio di un suono arioso, il rimedio non è rappresentato, come lei crede, dall’ attivare più efficacemente la chiusura delle corde vocali (manovra grossolana che non fa che ingrossare e appesantire il suono), ma è rappresentato dal garantire la naturale immediatezza dell’ AUTO-AVVIO del suono, concetto che dai belcantisti era espresso con le formule “suono franco” (Tosi) e “suono pronto” (Mengozzi).

Un’ altra (grottesca) perla nera foniatrica della Chiaudiani è data dalla seguente affermazione:

“Per creare il chiaro del chiaroscuro, contrarre lo sfintere ariepiglottico imitando il suono dell’anatra o della strega e nasalizzando leggermente. Questo determina la proiezione del suono.”

Si può dire, senza paura di esagerare, che questo è belcanto come i cartoni animati di Disney sono Raffaello. Siamo di fronte qui a un ANTI-BELCANTO al 100 %, qualcosa di paragonabile a un ipotetico comandamento “odiatevi come io vi ho odiato”, spacciato per vangelo. Vi troviamo infatti non solo l’ invito a nasalizzare (da sempre considerato dai belcantisti un “vizio orribile”!), ma anche il ‘monstrum’ dello sfintere ariepiglottico, entità chimerica mai percepita da nessun essere umano da Adamo ed Eva ad oggi e tanto meno dai belcantisti, che ignoravano persino il concetto di diaframma! Addirittura, con vero e proprio sprezzo del ridicolo, si arriva a teorizzare l’ imitazione di versi animaleschi o di personaggi dei cartoni animati come mezzo per conseguire quella qualità del suono, la brillantezza, che è la fonte dello squillo nella zona acuta, e che è già insita naturalmente nel suono parlato, da cui il motto, questo sì belcantistico, “si canta come si parla” e i concetti, altrettanto belcantistici, di “suono franco” e “suono sorgivo”: altro che il verso dell’ anatra o la voce della strega!

Ma la cantonata più grave è pensare che il ‘chiaroscuro’ belcantistico sia la combinazione di un suono fatto intenzionalmente chiaro e di un suono fatto intenzionalmente scuro. In realtà i belcantisti (contrariamente a Garcia jr. e alla sua epigona Chiaudani) pensavano che non si dovesse schiarire o scurire direttamente la voce, il che avrebbe distorto il suono e reso impossibile la risonanza libera del vero canto, ma che il ‘chiaro’ fosse l’ effetto naturale indiretto del giusto dire e lo scuro l’ effetto naturale indiretto dell’ apertura della gola, solo nel qual caso i due poli potevano fondersi armonicamente tra di loro, creando il chiaroscuro.

Derivazioni dirette della teoria schizofrenica della voce bicolore (la ‘chiara’ e la ‘scura’) del protofoniatra Manuel Garcia (che nulla ha a che fare col concetto belcantistico di chiaroscuro) sono anche i seguenti espedienti:

“Introdurre una piccola ‘u’ per alzare il palato molle, abbassare la laringe, allungare il vocal tract e diventare più verticali.” “Nella zona centrale e medio-acuta mantenere una posizione verticale, qual è quella creata dalla vocale ‘u’, che alza il palato molle e abbassa la laringe; nella zona acuta pensare più a una ‘e’ e passare alla posizione orizzontale a sorriso.”

Anche in questo caso la Chiaudiani spaccia per belcantistica la concezione dello spazio di risonanza come risultato di interventi diretti, localizzati, che consisterebbe nell’ innalzamento diretto del palato molle e nell’ abbassamento diretto della laringe. Queste due manovre grossolane (attuate passando dallo stampino della ‘u’ allo stampino della ‘e’) in realtà ingabbiano e ingessano le cavità di risonanza e rappresentano la negazione della duttilità di quella ‘spaziosità onnipotenziale’ del belcanto, creata non con manovre meccanicistiche dirette, ma con un atto di distensione-espansione, generato dall’ inspirazione naturale globale. Il risultato spaziale della prescrizione (totalmente assente nei trattati del belcanto) di alzare il palato molle e di abbassare la laringe, è la creazione di un TUBO verticale, tubo che non può che produrre, per definizione, suoni intubati. Questo spazio di risonanza in realtà, contrariamente a quanto pensa la Chiudiani, non ha nulla a che fare con lo spazio di risonanza della vera ‘gola aperta’, che è uno spazio da concepire idealmente come sferico e non cilindrico, da cui i concetti belcantistici di “voce spiegata” e di “espandere la voce”.

L’ artificiosità del modello di spazio verticale (introdotto nell’ Ottocento dai foniatri francesi e da Garcia jr., e scambiato dalla Chiaudani per belcantistico) si rivela anche con due suoi effetti collaterali: l’ ampliamento e la distorsione del movimento articolatorio che esso determina, e, di conseguenza, la riduzione della brillantezza naturale. Da qui la prescrizione assurda della Chiaudiani di capovolgere improvvisamente questo modello di spazio a una precisa altezza tonale, passando bruscamente dallo stampino della verticalità-sbadiglio allo stampino dell’ orizzontalità-sorriso, che è come riconoscere che il modello verticale di spazio è squilibrato e necessita di correzioni. Il ‘sorriso interno’ in realtà, anche se emerge più chiaramente nel settore acuto, deve essere contenuto ‘in nuce’ in tutti i suoni della gamma vocale ed è quel fattore costitutivo del suono belcantistico che garantisce il mantenimento della brillantezza naturale, motivo per cui è assurdo concepirlo come qualcosa che fa la sua apparizione solo nel settore acuto, come effetto del cambiamento improvviso e meccanico della forma dello spazio di risonanza, che da verticale diventa orizzontale.

La concezione marionettistica del canto della Chiaudani, con la relativa ossessione dell’ innalzamento del palato molle (vera e propria assurdità per il semplice motivo che, se il suono non è nasale, significa ipso facto che il velo palatino è naturalmente alzato) è accentuata dall’ assurdo collegamento che la Chiaudani teorizza tra velo palatino e muscoli del collo. (?!) Infatti secondo lei occorrerebbe “attivare il sostegno muscolare del collo in corrispondenza con l’ innalzamento del palato molle. I muscoli grandi del collo aiuteranno i muscoli piccoli della laringe. L’ ancoraggio del collo è molto importante.” È certo che il concetto di “ancoraggio del collo” e di attivazione di un fantomatico “sostegno del collo” non ha nessun rapporto col belcanto, ma solo con una delle tante grottesche nuove tecniche vocali oggi in circolazione, ad esempio il voicecraft, tecniche che potremmo definire ‘dell’ incredibile Hulk’. Nel belcanto infatti l’ allineamento ‘testa-collo-torso’, la cosiddetta “postura nobile”, ha, appunto, un significato solo posturale, nel senso che tutta la zona strategica del collo, della mandibola e dei muscoli pettorali deve rimanere DISTESA, dal momento che la fonte dell’ energia, cioè il cosiddetto appoggio o, detto più modernamente, il ‘motore della voce’ è localizzato non nella periferia, ma nel centro del corpo, cioè a livello della zona sterno-epigastrica.

La concezione della Chiaudani della tecnica vocale come risultato di manovre meccanico-muscolari che possono esigere anche bruschi cambiamenti, a scatti, come succede con le marionette, è il contrario della concezione belcantistica del canto come continuum fluido e come rispetto assoluto e ricerca sempre più profonda della naturalezza. È chiaro che il rispetto di questa naturalezza si manifesta innanzitutto non alterando, ad esempio, la forma naturale della bocca e delle labbra e il movimento articolatorio. Ecco invece che cosa teorizza, sempre sulla scia dello sciocchezzaio foniatrico, la Chiaudani:

“Le labbra sono l’ equalizzatore della voce: protrudendo le labbra, allunghiamo il vocal tract, il che renderà il suono più scuro. Se non lo si fa, il suono sarà più chiaro.” “Noi siamo come degli chef, che usano diversi elementi per ottenere i vari ‘piatti’ vocali. Infatti, a differenza di quanto avviene col violino, il suono della voce non è già definito. Siamo noi a definirlo usando questi diversi elementi.”

Chi fa affermazioni del genere, ha fatto propria l’ ‘utopia dei dr. Frankenstein’ della foniatria artistica, che consiste nel credere che il corpo umano sia assimilabile all’ assemblaggio dei pezzi del Lego, ricomponibili a piacere in diversi modi per creare nel nostro caso non l’ uomo perfetto, progettato dal dr. Frankenstein, ma il ‘cantante perfetto’, teorizzato dagli utopisti foniatrici. Nel caso specifico si dà il caso che la protrusione delle labbra sia sempre stata indicata da tutti i trattatisti del belcanto come un grossolano errore tecnico-vocale, causa evidente di distorsione acustica, essendo il sistema articolatorio naturale basato sull’ alternanza tra vocali ‘laterali’ (o orizzontali) e vocali ‘arrotondate’. Ebbene, arrivano i geni della foniatria (che mai hanno emesso un suono cantato in vita loro) e incredibilmente decidono che si devono abolire le vocali ‘laterali’ e arrotondarle tutte, teorizzando che questo sarebbe il segreto tecnico-vocale per “allungare il ‘vocal tract’ e rendere il suono più scuro.”

L’ obiezione che sorge spontanea a questo punto è: perché mai bisognerebbe allungare il vocal tract e rendere il suono più scuro, idiozia di cui nessun classico del belcanto ha mai parlato nei suoi trattati? Certamente, se lo scopo è quello di intubare la voce, questo è un ottimo metodo, che però non si può definire propriamente ‘belcantistico’. Anche perché, per chi ne sappia un po’ di canto, si capisce che si tratta del solito metodo per tappare un buco in attesa che se ne apra un altro. La necessità di allungare il ‘vocal tract’ protrudendo le labbra è infatti solo un modo per compensare la riduzione dello spazio di risonanza, causata paradossalmente proprio dall’idea di alzare il palato molle e abbassare la laringe, dato che attivando questa manovra foniatrica succede che la gola non può più dilatarsi in tutta la sua ampiezza. Da qui l’ espediente grottesco e meramente compensatorio delle labbra a trombetta.

Altre due bestemmie antibelcantistiche della Chiaudani sono le seguenti prescrizioni:

“Collegare il sistema dell’articolazione col motore della voce!”
“Per acquisire il legato fare dei glissando, pensare di essere una sirena.”

La prima, riguardante l’ articolazione, ha come suo corollario la teoria secondo cui “la pronuncia delle consonanti deve essere attiva per mantenere il contatto col sostegno del fiato. Non si devono dire le consonanti, si devono cantare. Occorre dare importanza alle consonanti. Le consonanti ci aiutano a proiettare meglio le vocali. Quando la pronuncia diventa troppo morbida, noi perdiamo il contatto col corpo e con l’appoggio.”

Una concezione del genere trasforma l’ articolazione da SINTONIZZATORE in DETONATORE della voce e il suo equivalente violinistico sarebbe rappresentato da un metodo basato sul rafforzamento della diteggiatura della mano sinistra sulla tastiera come mezzo per aumentare la dinamica del suono. Ora tutta la tradizione belcantistica è concorde nel teorizzare il CONTRARIO: si va dal concetto di “pronuncia non caricata” di Mancini, a quello di “pronuncia dolce e chiara” di Lamperti, a quello di “pronuncia semplice e naturale” di Caruso. Addirittura lo stesso Garcia nel suo trattato parla esplicitamente dell’importanza di rendere INDIPENDENTE l’ articolazione dall’ emissione, ossia esattamente il contrario di quanto teorizzato dalla Chaiudani.

Ci imbattiamo infine, vera e propria ciliegina sulla torta dell’ antibelcanto, nella teoria secondo cui “per acquisire il legato occorre fare dei glissando, pensando di essere una sirena”. In realtà questo tipo di falso collegamento tra le note si può definire propriamente anti-legato, tant’è che dai belcantisti era definito in senso negativo “strascino” in opposizione a “legato”. Anche in pieno Ottocento Virginia Boccabadati, una delle cantanti più ammirate da Verdi, ribadirà questo principio, scrivendo nel suo metodo di canto:

“Legare non significa né ‘strisciare’ né ‘portare la voce’, ma ‘passare’ senza stacco o silenzio da una nota all’ altra.”

Come opera invece il glissando? Ingessa i micromovimenti di articolazione agili e sciolti con cui si cambiano nitidamente le vocali e le note, impedendo loro di agire come sintonizzatore automatico della voce. Se il legato è stato tradizionalmente paragonato dai belcantisti alla collana di perle, in cui le singole perle sono staccate e insieme unite intimamente le une con le altre dal filo che le attraversa, le ‘sirene’ vocali della Chiaudani, con i suoi ‘glissandi’, rappresentano il nuovo modo, ‘scientifico’, di collegare le perle tra loro: con la colla invece che con il filo. In questo modo si perde l’ articolazione ‘chiara e distinta’ delle note, che nel canto classico deve sempre coesistere e armonizzarsi, come in tante altre coppie di opposti del canto, col suo contrario: il flusso uguale e dolce dell’ energia. Un altro equivalente del legato ‘alla Chiaudani’ potrebbe essere rappresentato da un metodo che teorizzasse che la periodica chiusura delle palpebre, che avviene naturalmente, istantaneamente e inavvertitamente ogni tot secondi, deve essere realizzata consapevolmente e al rallentatore.

L’ espediente del glissando come mezzo per acquisire il legato è il risultato di un’ osservazione superficiale della realtà. Essendo la realtà bipolare, ne consegue che nel vero legato la componente della continuità fluida coesiste con la componente opposta della distinzione nitida con cui vengono prodotte le note e le vocali dal sistema dell’ articolazione e che dal glissando viene semplicemente SOPPRESSA.
Per avere un’ idea dell’ assurdità della teoria del legato come glissando, basta pronunciare (anche semplicemente parlando) una parola come ‘aiuola’, proponendosi di collegare ogni vocale con un glissando, invece di lasciare che le vocali si producano da sole naturalmente con i micromovimenti veloci dell’ articolazione: l’ effetto grottesco che ne risulterà verrà ingigantito dal fatto che stiamo parlando, ma permarrà, anche se nascosto in parte dalla musica, anche cantando.

La grossolanità del glissando come espediente per acquisire il legato potrebbe essere paragonato a un altro espediente che nasce da un’osservazione superficiale e parziale della realtà: il ‘vocione’ con cui i bambini fanno l’ imitazione del cantante lirico e che, guarda caso, si ottiene proprio con gli espedienti introdotti nel canto dalla foniatria: abbassare direttamente la laringe e alzare direttamente il palato molle. Apprendere che entrambi gli espedienti (fare il vocione per fare il cantante lirico e fare il glissando per fare il legato) sono parte integrante del metodo più grottescamente foniatrico-meccanicistico che sia mai esistito, il voicecraft di Jo Estill, dovrebbe finalmente aprire gli occhi dei maestri di canto sulla vera natura di certi ridicoli espedienti tecnico-vocali, e farli una buona volta desistere dal vizio di spacciarli per belcanto.

Antonio Juvarra

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