Il consueto articolo di inizio mese inviatoci da Antonio Juvarra è dedicato questa volta ad alcune considerazioni sulla figura della grande Adelina Patti. Come sempre, un ringraziamento ad Antonio per la collaborazione e buona lettura a tutti.
STIRPI CANORE NATURALI
In epoca di idolatria della Macchina, con la sua ingenua fede nell’ anti-miracolo della trasformazione dei cantanti in strumenti meccanici, fa bene alla mente e al cuore ricordare i tempi in cui il concetto di voce naturale non era ancora considerato un paradosso, ma una verità scontata come l’ affermazione ‘l’ acqua è liquida’ o ‘la terra è solida’. Questa era la concezione che anche Mozart condivideva con i suoi contemporanei, tanto da non porsi alcun problema nel far cantare alla futura cognata Aloysia Weber, allora diciassettenne, la sua aria ‘Popoli di Tessaglia’ (KV 316/300b) con due Sol sovracuti e numerosi passi di agilità, più altre arie sostitutive e da concerto, di mirabolante bellezza e complessità, scritte appositamente per lei negli anni immediatamente successivi fino al 1783. Non risulta che per il fatto di non avere ancora (secondo le aberrazioni moderne) i “muscoli allenati atleticamente” per affrontare un repertorio del genere, la Weber ne abbia minimamente risentito, come invece, con certezza matematica, sarebbe successo, se avesse avuto la possibilità di applicare alla sua voce una delle moderne tecniche vocali ‘scientifiche’ (a quel tempo, per fortuna sua, nostra e di Mozart, ancora ‘in mente diaboli’). Per altro, che le sue prestazioni vocali fossero considerate sì pregevoli, ma tutt’altro che miracolose nel senso dell’evento ‘impossibile’, lo dimostra la frequenza, a quell’ epoca, di voci analoghe. Senza andare troppo lontano nel tempo e nello spazio, Caterina Cavalieri, creatrice del ruolo di Constanze nel Ratto del Serraglio, aveva debuttato a 20 anni nel 1775. Se poi parliamo di castrati, i celeberrimi soprani pugliesi Farinelli e Caffarelli, grosso modo coetanei e cresciuti entrambi alla scuola di Porpora, avevano fatto altrettanto a 15 anni.
Ma l’ età felice (nel senso etimologico di ‘fertile’) delle stirpi canore naturali, ancora beatamente immuni dai moderni virus foniatrico-muscolare-meccanicistici, non tramontò col Settecento, ma proseguì nell’Ottocento e resistette eroicamente fino al Novecento. Nell’ Ottocento si annoverano decine di casi di cantanti, pronti a riconfermare il fatto che la voce cantata è un fenomeno naturale, che come tale deve essere trattata e che se mostra diversi gradi di sviluppo (dal seme alla pianta sviluppata) nei diversi soggetti in cui si manifesta, ciò non significa che sia superfluo curarne lo sviluppo o che, all’ opposto, sia necessario trattarla per quello che non è, cioè come una macchina.
Il più emblematico di questi casi è quello di Adelina Patti, una delle poche cantanti, apprezzate pubblicamente dal burbero Verdi, che la definì “voce meravigliosa.”
Leggiamo su Wikipedia (e per comodità copiamo) che Adelina Patti nacque nel 1843 a Madrid da genitori italiani, entrambi cantanti: il tenore Salvatore Patti e il soprano Caterina Chiesa. Pare che in questo caso il gene del canto sia stato ancora più prolifico: infatti la madre, oltre ad Adelina, aveva precedentemente dato alla luce altri tre figli, di cui due diventarono stimate cantanti, mentre dal precedente matrimonio aveva avuto quattro figli, tutti cantanti professionisti (un soprano, un baritono e due bassi). La piccola Adelina si contraddistinse fin da bambina per le sue capacità canore e la sua memoria musicale, tanto che 1850, quindi all’ età di sette anni, dopo aver assistito ad un concerto di Jenny Lind, al ritorno a casa fu in grado di ripetere alla perfezione i brani cantati dal soprano svedese. La sua prima apparizione pubblica risale al 1852 (quindi quando aveva nove anni!) in occasione di un concerto del violinista Michael Hauser, a cui seguirono numerose tournées negli Stati Uniti e Cuba (dove accompagnò il pianista e compositore Louis Moreau Gottschalk), mentre il suo debutto operistico risale al 1859 (quindi quando aveva 16 anni) all’ Academy of Music Opera House di New York, dove la sua interpretazione di Lucia di Lammermoor di Donizetti incontrò un notevole successo. Si narra che un giorno, esibendosi nell’ aria del Barbiere di Siviglia «Una voce poco fa» accompagnata al pianoforte dall’ anziano Rossini, aggiunse una tale quantità di abbellimenti che il compositore, dopo essersi congratulato con lei, le chiese con ironia chi l’ avesse scritta.
Per quanto riguarda i suoi rapporti (inesistenti) con le nascenti tendenze foniatriche della didattica vocale, sono rimasti celebri due aneddoti. Una volta, assistendo alle lezioni di un suo amico, il tenore Jean De Reszke (fautore dell’ uso del diaframma, della maschera nasale e di altre moderne diavolerie foniatriche) e sentendolo sempre parlare di diaframma durante queste lezioni, a un certo punto sbottò, esclamando candidamente: “Ma che cos’ è questo diaframma?” In un’ altra occasione, a un ammiratore che le chiese: “Ma lei come fa a emettere suoni così meravigliosi?”, la Patti rispose ancora più candidamente: “Ah, non ne ho la minima idea…”
Ci avviamo alla morale della favola, che è duplice. Come allieva di canto, la Patti studiò col fratellastro Ettore, baritono, che si presume si sia posto davanti alla sua voce con l’ atteggiamento del coltivatore e non dell’apprendista stregone tecnologico-foniatrico (nel qual caso è probabile che Adelina Patti non sarebbe mai diventata Adelina Patti). Terminata la carriera, la Patti avrebbe potuto benissimo utilizzare l’ espediente di molti ex cantanti attuali, che consiste nel far credere alla gente la fandonia secondo cui l’ essere o l’ essere stati in grado di emettere suoni (se non meravigliosi, decorosi) dimostrerebbe ipso facto la conoscenza da parte loro di come insegnarne la produzione agli allievi. Rimanendo una pretesa del genere tutta da dimostrare (così come rimane da dimostrare che un’ ape sappia spiegare come fa a produrre il miele), la Patti optò per l’ onestà invece che per il bluff, nel senso che riconobbe pubblicamente di non avere la minima idea di come si producessero in lei quei suoni meravigliosi né tanto meno di come avrebbe potuto insegnarli agli altri.
È superfluo ricordare che, con la nascita delle moderne tecniche vocali foniatrico-anatomiche (quelle che, per intenderci, hanno neutralizzato i servomeccanismi naturali perché non ‘scientifici’, sostituendoli con le ‘azioni muscolari tecniche’), l’ esempio della Patti non avrebbe trovato seguaci. Da allora in poi i portatori inconsci del belcanto daranno a bere agli allievi che le strampalate teorie tecnico-vocali da loro escogitate dopo il pensionamento, avessero un qualche rapporto con la tecnica vocale che effettivamente usavano quando facevano i cantanti. Teorie arbitrarie, direttamente inoculate nella mente e nella voce degli allievi come baci di Dracula, impressi sulla giugulare di altre vittime troppo fiduciose.
Antonio Juvarra