Antonio Juvarra – “Manuel Garcia jr.”

Nel suo consueto articolo mensile, Antonio Juvarra ci propone questa volta una disamina critica sulla figura di Manuel Garcia jr, celebre didatta dell’ Ottocento. Buona lettura a tutti e grazie, come sempre, ad Antonio per la collaborazione.

 

 MANUEL GARCIA JR, IL FALSIFICATORE DELLA TECNICA VOCALE ITALIANA

Quello di Manuel Garcia jr. è il caso di un personaggio che riuscì nell’ impresa impossibile di far credere al mondo il contrario di quello che era stato detto fino ad allora in materia di tecnica vocale nel corso di due secoli e mezzo di storia del canto operistico, e nello stesso tempo ad apparire come il continuatore più rappresentativo ed autorevole di questa tradizione.

Come tutte le operazioni di mistificazione, anche quella attuata da Manuel Garcia jr. richiese, per aver successo, circostanze favorevoli e un espediente preliminare: la mimetizzazione. Nel trattato di canto che lo renderà famoso, Garcia infatti affermerà falsamente di essersi ispirato ai principi dei più autorevoli teorici del vero belcanto e cioè Tosi e Mancini. In realtà la sua operazione consistette, classicamente, nel riempire di vino nuovo (e adulterato) botti vecchie con la falsa etichetta di vino italiano pregiato.

Ma vediamo intanto, preliminarmente e velocemente, chi era Manuel Garcia.

Due furono i Manuel Garcia che nell’Ottocento si occuparono a vario titolo di canto: Manuel Garcia senior e suo figlio Manuel Garcia junior, quest’ ultimo l’oggetto della nostra analisi critica.

Dal curriculum artistico dei due, qui sintetizzato al massimo, apprendiamo che il primo, Manuel Garcia padre, fu un acclamato tenore della prima metà dell’Ottocento, amico di Rossini, che scrisse per lui la parte di Almaviva del Barbiere di Siviglia. Fu anche un importante insegnante di canto, compositore nonché autore di un metodo di canto.

Il secondo, invece, Manuel Garcia figlio (il falsificatore eponimo), fu un mediocre baritono, di cui la sorella Pauline Viardot ebbe a dire che quando cantava, sembrava la rana che imita il bue, e la cui carriera iniziò con una tournée in Sudamerica nella compagnia di giro del padre e terminò ingloriosamente a Parigi quattro anni dopo, quando una sua performance fu stroncata da un critico col lapidario giudizio: “consigliamo a questo giovane di dedicarsi a un’ altra attività…”

E fin qui niente di speciale, rientrando il tutto nella più scontata normalità delle “maledette vicende de’ teatri” (Metastasio).

È con la fase successiva della vita di Manuel Garcia jr. che si entra direttamente nello speciale, anzi nello stupefacente. E a lasciare stupefatti non è tanto il fatto che l’ attività alternativa cui Garcia junior, ascoltando il consiglio del critico, decise di dedicarsi, fu quella di maestro di canto, quanto il fatto (vero e proprio mistero nel mistero) che, con un curriculum del genere e senza ancora aver scritto il famoso trattato, Garcia junior riuscì a ottenere, all’ età di ventinove anni, la cattedra di canto al Conservatorio di Parigi.

Per altro, una piccola luce su questo mistero ci può forse venire se riflettiamo sul fatto che Garcia jr  non era solo il figlio dell’ acclamato omonimo tenore, ma anche il fratello di due famose dive dell’opera, Maria Malibran e Pauline Viardot, e si può quindi supporre che questo fatto abbia agito ‘italianamente’ da ‘titolo artistico improprio’ che, per quanto anomalo, fu sufficiente a determinare la sua assunzione al Conservatorio di Parigi, a quel tempo diretto da Luigi Cherubini.

Ancora più paradossale sarà la situazione che si verrà a creare in seguito: Manuel Garcia jr. è l’ unico dei quattro Garcia a NON aver fatto carriera come cantante, NON è l’ unico dei Garcia ad aver scritto un metodo di canto, è l’ unico dei Garcia ad aver deviato dai principi tecnico-vocali del belcanto ed è l’ unico a essere riuscito a farsi passare per il vero continuatore di quei principi, emulando in questo Ivan il Terribile, che  riuscì a farsi riconoscere ufficialmente come nuovo Cesare (‘czar’ in russo)…

Se la modalità con cui Garcia junior ottenne la cattedra di canto al conservatorio di Parigi, appare molto ‘italiana’, non altrettanto italiana fu purtroppo la concezione della tecnica vocale che Garcia fece sua (e, ahinoi, non solo sua).

Infatti, è nel suo trattato  che Garcia junior elaborerà uno dei più letali virus tecnico-vocali della storia del canto, quello secondo cui, salendo progressivamente alla zona acuta della voce, le vocali dovrebbero essere modificate intenzionalmente, vanificando così una delle scoperte più importanti del belcanto, quella secondo cui la vocale, qual è concepita dalla mente che la crea, non è una forma plasmabile a piacere dalla razionalità, ma rappresenta un ‘archetipo’, impresso profondamente in noi, motivo per cui come sarebbe assurda l’ idea che uno concepisca e intoni un ‘quasi La’ (o un La che ‘si avvicina al Si’), così è assurda l’ idea che uno concepisca e canti una ‘quasi A’ (ovvero una “A che si avvicina a una O”).

Ottusamente indifferente a questo principio belcantistico, che è quello del concepimento mentale naturale immediato delle vocali pure e che i belcantisti espressero col concetto di “suono franco” (Tosi), Garcia invece proclamerà ‘scientificamente’ che:

“Andando nella zona acuta, la A si avvicina alla O, la E si avvicina alla EU francese, la I si avvicina alla I francese, la O si avvicina alla U.”

Ed è con questa bislacca teoria che ci imbattiamo in quel tipo di prodigio contro natura, che in latino era chiamato monstrum.

Il primo dei monstra, creati da Garcia jr, consiste nel fatto che un signor nessuno come lui sia riuscito a imporre come scientifica una teoria falsa, basata sul  CONTRARIO di quello che, sulla scia di una tradizione secolare, persino suo padre Manuel Garcia senior, famosissimo tenore, aveva confermato come verità nel suo metodo di canto, dove scrive esplicitamente che nel canto le vocali devono invece rimanere pure e non essere modificate geneticamente.

Il secondo monstrum è quello di essere riuscito a far dimenticare agli italiani il fatto che il canto operistico è nato in Italia, per cui non si capisce perché cantando si debbano usare vocali che non esistono in italiano, né si capisce come sia potuto accadere che l’ opera sia nata in Italia, se è vero che il canto lirico esige l’ uso di vocali che non esistono in italiano.

Il terzo monstrum, simmetrico al secondo, è quello di essere riuscito a far dimenticare ai francesi il fatto, altrettanto eclatante, che applicando questa formula alla lingua francese, si verifica un piccolo inconveniente e cioè che le parole, a seconda dell’ altezza tonale, si trasformeranno in altre parole, di significato diverso. Per fare un esempio,  una parola come ‘père’ (padre), andando nella zona acuta, si trasformerà nella parola ‘peur’ (paura) e questo surreale fenomeno di cambiamento del significato interesserà ovviamente moltissime parole francesi, a differenza di quanto succede nell’ italiano, che non ha vocali miste.

Volendo passare ora all’ analisi del vino adulterato, messo in circolazione da Garcia, si può dire che esso risulta composto di due sostanze, intimamente legate tra loro ed entrambe tossiche:

1 – il meccanicismo foniatrico (da lui inaugurato), basato sull’ idea di un controllo muscolare diretto degli organi fonatori, controllo meccanico che, rispetto al controllo indiretto e olistico, propugnato dalla scuola di canto italiana storica, appare come la clava rispetto al computer o, meno iperbolicamente, come il violino di fabbrica giapponese da venti euro con l’ etichetta ‘Stradivari’ rispetto a un autentico Stradivari;

2 – una teoria acustica della risonanza della voce, che potremmo definire ‘schizo-fonica’, perché basata sull’ idea folle di una scissione e scomposizione di quell’ unità armonica che i belcantisti chiamarono “chiaroscuro”, in due modelli spazio-risonanziali distinti e autonomi, che Garcia chiama “timbro scuro” e “timbro chiaro”.

Per quanto riguarda la prima ‘sostanza’, tralasciando qui il suo prodotto più mostruoso, il “colpo di glottide”, si può dire che proprio l’ idea di Garcia (tuttora riproposta) secondo cui lo spazio di risonanza della cosiddetta ‘gola aperta’ si creerebbe alzando direttamente il palato molle e abbassando direttamente la laringe, è all’ origine di quel “tubo sonoro”, che non potrà che generare, per definizione, suoni “intubati”, ovvero suoni che risultano in partenza già opachi e privi di squillo, idea che è da mettere in relazione diretta con la seconda teoria di Garcia, quella dell’ oscuramento volontario della voce per dare “la massima rotondità al suono”.

Per quanto riguarda invece la seconda ‘sostanza’, occorre far presente che teorizzare un ‘timbro scuro’ e un ‘timbro chiaro’, intesi come distinti e legittimi modelli spazio-risonanziali della voce è demenziale quanto teorizzare l’ esistenza di due tipi di atomo: gli atomi provvisti del solo nucleo e gli atomi provvisti dei soli elettroni.

In realtà il ‘chiaro’ e lo ‘scuro’ sono componenti strutturali INSCINDIBILI del suono cantato e non nascono da nessuna intenzione di schiarire o scurire DIRETTAMENTE il suono, altrimenti il risultato sarà l’ imitazione caricaturale esterna e la distorsione acustica, che è esattamente il risultato ottenuto da Garcia con la sua bislacca trovata.

In altre parole affermare che esiste un modello vocale di timbro scuro e un modello vocale di timbro chiaro è come dire che esistono due forme di equilibrio: quello dove il piatto destro della bilancia è più basso del piatto sinistro, e quello dove il piatto sinistro è più basso del piatto destro.

Inoltre modificare la vocale A in AO oppure la vocale E in EU francese, andando nella zona acuta della voce, (che è un altro modo per scurire intenzionalmente la vocale, mescolandola con la vocale posteriore O) si dimostra come una doppia castroneria acustica, in quanto basata sulla confusione concettuale tra cambio di colore e cambio di registro e sull’ equazione errata ‘suono rotondo = suono scurito’.

Contrariamente a Garcia, i belcantisti, creatori della vera tecnica vocale italiana o, più precisamente, scopritori del canto a risonanza libera (e delle modalità pseudotecniche e antinaturali, che invece lo rendono impossibile), affermarono che utilizzando questo espediente grossolano (evidentemente già noto nel Settecento), si “rende imperfetto il canto e ridicolo il cantante.” (Mancini)

Questo principio acustico è stato rispettato da tutti i cantanti pensanti di alto livello non solo del Sette/Ottocento, ma anche del Novecento, primo tra tutti Beniamino Gigli, che in una masterclass spiegò che “se si canta in italiano, le vocali sono A/E/I/O/U e non AO/EU/Y/OU/U.”

Chi a questo principio belcantistico contrappone la presunta autorità di Garcia, dimentica un piccolo particolare: che a scoprire l’ esistenza dei registri vocali non è stato Garcia, essendo questo fenomeno già noto da secoli. Ne consegue logicamente che se fosse vero che il passaggio di registro consiste nella modificazione-oscuramento delle vocali, allora i belcantisti, che invece prescrivevano le vocali pure e non le vocali “miste”, non sarebbero mai arrivati a scoprirlo e a farne uso.

La realtà è che il passaggio di registro (chiamato da qualcuno anche “giro” o “copertura”) è, nel suo aspetto acustico, la conversione delle vocali foneticamente aperte in vocali foneticamente chiuse, e NON delle vocali chiare in vocali scure, motivo per cui, tanto per fare un esempio, la vocale ‘è’ NON diventa ‘eu’ (francese), ma diventa ‘é’.

Per quanto riguarda questo punto, Garcia fa mostra di una completa confusione concettuale perché per un verso afferma che il ‘timbro scuro’ è creato dalle vocali chiuse  E, O e U,  e il ‘timbro chiaro’ dalle  vocali aperte A, E  e O, e per un altro verso afferma che le vocali aperte si scuriscono e si arrotondano andando verso la vocale O aperta, dal che si deve dedurre che la vocale E chiusa (che è una vocale anteriore) è più scura della vocale O aperta (che è una vocale posteriore), che è un’affermazione palesemente assurda e contraddittoria.

Al giorno d’ oggi, poiché tuttora sono molti gli epigoni di Garcia, ogni tanto accade che salti fuori qualcuno che si sente in dovere di fare opera di evangelizzazione vocale, riproponendo al mondo come verità rivelata la castroneria di Garcia.

C’è anche chi fa presente che però, effettivamente, uno degli EFFETTI collaterali del passaggio di registro è una certa riduzione della brillantezza del suono a favore di una sua maggiore fluidità e qualità ‘flautata’, e quindi ne deduce erroneamente che bisogna scurire intenzionalmente la vocale, col che dimostrando di non aver capito la differenza, appunto, tra causa ed effetto. In altre parole il fatto che, soprattutto con la vocale A, le prime note ‘passate’ risultino leggermente scurite, non significa che si debbano scurire direttamente e ‘preventivamente’. Chi pensa questo, ragiona come il tizio che, avendo constatato che il motore dell’ auto, una volta acceso, produce calore, annunciasse pubblicamente che il segreto per accendere il motore è  riscaldarlo.

Proprio perché di per sé il meccanismo del passaggio di registro produce un leggero oscuramento del suono, NON bisogna pensare di scurirlo intenzionalmente (tenendo presente che pensare una A come una AO o come una O, è un altro modo per scurire), altrimenti il suono risulterà intubato e opaco, da cui le successive (e coerenti) raccomandazioni di “non fare troppo il passaggio” o “non coprire troppo”.

Quel “fare troppo” il passaggio non è in realtà fare troppo, ma è fare cose che non c’entrano nulla col passaggio e una di queste cose è appunto il ‘modificare-mescolare-scurire’ le vocali, come l’ iniziatore del meccanicismo vocale e del canto di imitazione Manuel Garcia jr. teorizzò nei suoi scritti, facendosene un vanto.

Canto di imitazione significa che per la prima volta nella storia del canto qualcuno ebbe la tragicomica idea di spacciare per tecnica vocale l’ espediente (‘fare il vocione’), cui ricorre il bambino, quando gioca a imitare il cantante lirico.

La situazione comico-surreale che si delinea in tal modo, è questa: il canto teatrale è stato inventato in Italia quattro secoli fa da gente che prescrisse che le vocali dovevano rimanere pure e non geneticamente modificate, ma noi dovremmo credere alla favola, inventata due secoli dopo da un naturalizzato francese,  secondo cui, solo se trasformato in ‘Omorylly myo beullo’,  il madrigale ‘Amarilli mia bella’  può essere cantato sulle scene.

Im pratica dovremmo seguire la regola inventata da un tizio, Manuel Garcia jr, la cui carriera teatrale durò solo quattro anni, perché stroncato dalla critica e rimasto senza voce.

Per spiegare quest’ ultima ‘anomalia’ del caso Garcia (un maestro di canto che riuscì nell’ impresa di rovinarsi la voce), uno studioso americano, Berton Coffin, è riuscito da par suo a produrre un’altra perla concettuale, che dà la misura del grado di condizionamento esercitato nel canto dal pensiero di Garcia.  In sostanza, secondo questo studioso, la causa del deterioramento della voce di Garcia jr. non sarebbe da ricondurre, eventualmente, alle sue bislacche teorie da apprendista stregone del canto foniatrico, bensì ai principi tecnico-vocali del padre, che fu il suo insegnante di canto, principi tra cui rientrava anche quello delle vocali pure e non geneticamente modificate.

Se pensiamo che il principio delle vocali pure non era un’idea personale ed eccentrica di Garcia padre, ma uno dei principi base di una tradizione secolare, ci si rende conto che il rapporto causa-effetto, individuato da Coffin nel caso Garcia, si avvicina molto al rapporto causa-effetto, individuato dal lupo nel famoso contenzioso da  lui avviato contro l’ agnello per accertare il responsabile dell’ inquinamento dell’ acqua che entrambi stavano bevendo.

E questa si presenta come la perfetta ciliegina comica sulla torta del caso Garcia jr., voyeur della laringe nonché falsificatore della tecnica vocale italiana

Antonio Juvarra

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2 pensieri riguardo “Antonio Juvarra – “Manuel Garcia jr.”

  1. Grandioso. E Celletti, per anni ritenuto il maggior vociologo esistente , il cui mantra era oscuramento, immascheramento, quanti adepti avra‘ portato sulla cattiva strada?

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