Mario Del Monaco, 1982 – 2012

Esattamente trent’ anni fa, il 16 ottobre 1982, Mario Del Monaco si spegneva all’ ospedale di Mestre. Un infarto cardiaco stroncò definitivamente il suo fisico duramente provato da anni di dialisi, resasi necessaria per curare un’ insufficienza renale che lo tormentava da anni. Come mi hanno raccontato amici comuni, al momento della morte, nel salone di Villa Luisa a Lancenigo, sul leggio del pianoforte stava lo spartito di Otello, aperto alla pagina dell’ aria “Ora e per sempre addio”…

Molto si è scritto e detto, in questi trent’ anni, a proposito di questa straordinaria figura di artista, ancora oggi adorato da moltissimi appassionati ma spesso discusso a livello critico. Già da vivo, Del Monaco fu accusato da più parti di essere un cantante rozzo, muscolare e dedito solo alla ricerca di effetti superficiali. Del resto, già all’ epoca delle sue prime apparizioni sulle scene, il suo stile di canto assolutamente personale aveva sconcertato non poco gli addetti ai lavori. Ricordo quello che disse Gianandrea Gavazzeni, che lo diresse per la prima volta il 22 novembre 1942 al Teatro Regio di Parma, nell’ Ariodante di Nino Rota. In una serata celebrativa alla quale ero presente, il grande direttore d’ orchestra bergamasco affermò:

Mi ricordo benissimo che dicevano “Te la dò lunga un anno, poi con quel modo di forza non canta più!”. Come al solito l’ hanno indovinato, gli oroscopi, perchè se c’ è stata una carriera lunga e fino alla fine senza flessioni, fino a quando ha dovuto ritirarsi per motivi di salute, è stata proprio quella di Mario Del Monaco, pur con un repertorio fra i più forti, fra i più logoranti e faticosi.

Ma poi, lasciando stare le opinioni della critica, le cose stavano veramente così? Ascoltiamo questa esecuzione dell’ aria “O Paradiso”, registrata a San Francisco per il programma radiofonico “Standard Hour”, il 22 ottobre 1950, quindi poco dopo il debutto nel ruolo di Otello.

Mario Del Monaco si affacciò alla ribalta del teatro lirico in un periodo durante il quale le carriere delle più grandi celebrità della precedente generazione come Beniamino Gigli, Tito Schipa e Giacomo Lauri Volpi, stavano imboccando la parabola discendente. Dotato di una voce eccezionale per qualità e quantità, di una fortissima personalità e di una cieca fiducia in se stesso, aveva iniziato a cantare in teatro dopo aver superato una grave crisi vocale al tempo del suo perfezionamento presso la scuola del Teatro Reale dell’ Opera di Roma, e mentre si stava riprendendo grazie ai consigli determinanti del suo primo insegnante, il maestro Arturo Melocchi, dovette partire per il servizio di leva a Milano. Continuò a studiare da solo, nelle pause e durante le ore di libera uscita, senza pianoforte e aiutandosi solo con un diapason. Come raccontava lui stesso, i commilitoni facevano il verso ai suoi vocalizzi con cori di pernacchie e lui rispondeva: “Quando sarò famoso, dovrete pagare per sentire questa voce”. La cosa arrivò agli orecchi del comandante dell’ Autocentro, il colonnello Gino Ninchi, appassionato di lirica e fratello di due grandi attori di teatro, Annibale e Carlo Ninchi. Il colonnello si interessò al giovane cantante, mettendolo in condizioni di proseguire lo studio e soprattutto adoperandosi per evitargli di seguire il suo battaglione in Russia. Ricordo ancora come Del Monaco raccontava l’ episodio:

Un brutto giorno, arrivò l’ ordine di partire per la Russia. Era finita. Addio carriera, addio sogni di gloria. Mi rivolsi al colonnello Ninchi, che disse immediatamente: “Tu non partirai. Tu devi restare qui. Sarai più utile alla tua patria con la tua voce piuttosto che con il fucile!”. Non so cosa si sia inventato, a chi si sia rivolto, a chi abbia scritto. Fatto sta che dopo alcuni giorni arrivò un fonogramma dove si diceva che il caporalmaggiore Del Monaco Mario doveva rimanere in Italia. Se fossi partito non sarei tornato, come la maggior parte dei miei compagni.

I primi anni di carriera furono ostacolati dalla guerra, soprattutto dopo l’ armistizio dell’ 8 settembre 1943, e Del Monaco amava raccontare spesso le situazioni assurde vissute in quel periodo, come ad esempio la volta in cui l’ impresario lo pagò con otto chili di burro, oppure quella volta che, durante una recita di Madama Butterfly a Padova, lo spettacolo fu interrotto da un allarme aereo e, una volta che pubblico e maestranze si furono precipitate fuori dalla sala, la folla lo voleva picchiare perchè era vestito da ufficiale americano e lui si salvò intonando a gola spiegata “Addio fiorito asil”.

Mario Del Monaco in Tosca, Parma 1941

Tornata la pace, la sua ascesa iniziò in maniera irresistibile e, dopo il debutto internazionale a Londra nel 1946, la consacrazione definitiva arrivò la sera del 6 marzo 1949 alla Scala, con l’ Andrea Chénier allestito per commemorare la scomparsa di Umberto Giordano, accanto a Renata Tebaldi e Paolo Silveri, sotto la direzione di Victor De Sabata. A causa dell’ enorme richiesta di biglietti, lo spettacolo fu diffuso tramite altoparlanti anche nella piazza antistante il teatro. Del Monaco aveva studiato l’ opera con il compositore stesso, che aveva annotato sul suo spartito modifiche e consigli, e fino alla morte tenne sul suo pianoforte la foto autografata di Giordano, con la dedica “Al mio caro Chénier”.

Nel frattempo, il cantante fiorentino stava già cominciando a pensare al ruolo di Otello. Fu una preparazione lunga e minuziosa, come Del Monaco fece sempre per ogni parte che studiava, condotta attraverso letture approfondite e l’ ascolto di tutti i dischi dei tenori che avevano affrontato il ruolo. E fu un lavoro costellato da dubbi e ripensamenti, fino alla vigilia del debutto, avvenuto al Teatro Colòn di Buenos Aires il 21 luglio 1950. Racconta lo stesso Del Monaco nella sua autobiografia che la sera precedente lo spettacolo aveva deciso di rinunciare e mandò la moglie Rina a parlare con il direttore d’ orchestra, che era il maestro Antonino Votto, il quale rispose: “Gli dica di andare a letto e di star buono. Io dirigerò l’ Otello, lui lo canterà e sarà un grande trionfo!”. E così fu, infatti. Fu la sera in cui nacque una delle più grandi interpretazioni che il teatro lirico abbia mai visto, un personaggio destinato a diventare termine di paragone obbligatorio per tutti quelli che dopo Mario Del Monaco si sono cimentati con questa parte. Leggiamo a proposito questa recensione scritta da Cecil Smith per Musical America, relativa al primo Otello cantato da Del Monaco al Metropolitan di New York, il 15 febbraio 1952

Mario del Monaco, who has sung Otello more frequently than any other tenor in Italian and Latin-American productions of Verdi’ s opera in the last two or three years, appeared in the role for the first time at the Metropolitan in the season’s second performance. The cast was otherwise unchanged from that of Feb. 9, and Fritz Stiedry again conducted.

The sheer physical power of his voice, the solidity and clarion ring of his upper tones and the baritonal strength of his lower ones, made Mr. Del Monaco seem better equipped by nature to cope with the grueling music than any Metropolitan tenor since Leo Slezak. Although he frequently seemed to be using his voice to the absolute limit of its volume, he did not get tired, and, indeed employed more color and refinement of nuance in the last two acts than he had at the beginning. The “Esultate,” hurled above the noise of the storm, was truly imposing, and such other big moments as “Ora e per sempre addio” and “Si, pel ciel” (in which he was admirably seconded by Leonard Warren, the Iago) were genuinely magnificent in sound. Many moments in his singing, however, were merely crude and others seemed thoughtless, as though he had not taken time to discover the musical inflections implied by the score and the drama. When he turned his attention to expressive coloration he employed it very effectively, but too often he was content to plough through considerable passages with rather undistinguished loud singing.

His impersonation of the character was not of a kind that is admired in this country. Before the evening was over he had used nearly every conceivable cliche of old-fashioned melodramatic acting, and several times he was so intent on making a success for Del Monaco that he quite forgot to pretend to be Otello.

I dubbi esposti dal recensore sembrerebbero dar ragione a coloro i quali hanno sempre affermato che Del Monaco in questo ruolo faceva semplicemente sfoggio di un canto muscolare ed enfatico, ma in realta il cantante, nel corso dei ventidue anni in cui tenne la parte in repertorio, ebbe modo di esplorare tutti i particolari scenici e musicali della figura del Moro e di scavare in profondità il personaggio, anche seguendo i consigli di attori di prestigio come il grande Orson Welles che, avendolo riconosciuto mentre cenava in un ristorante londinese, andò a salutarlo e gli disse: “Perchè lei, Del Monaco, nel suo Otello fà dei movimenti così repentini e nervosi? Ciò è sinonimo di insicurezza e di potere vacillante! Faccia invece roteare quei suoi bei occhi in modo più controllato, abbinando i gesti con le mani più lentamente: ciò è sinonimo di autocontrollo e di potere!”

E infatti ecco quanto scriveva Louis Biancolli sul  New York Telegram and Sun, dopo la recita del 31 gennaio 1955, sempre al Met

Just as sensational was the Otello of Mario Del Monaco. This splendid young artist has moved far since his debut at the Met a few seasons ago. Last night he achieved his greatest triumph to date. The voice rang out brilliantly, and where necessary it sank down to an astonishingly expressive whisper.

It was also an Otello of gripping dramatic power, mounting gradually, in one of the most shrewdly planned build-ups to a peak of insensate fury that left you limp with the needless, yet inevitable, horror of it all. Those last moments, when the truth was hammered into Otello, were heartbreaking.

E ancora leggiamo il parere di Harold C. Schonberg, uno dei più prestigiosi critici musicali americani, sul New York Times del 16 novembre 1958

The big surprise, to one listener, was Mr. Del Monaco’ s Otello. In the past he has shouted his way through the role. But on this occasion tempered his blasting high A’s with some quite artistic, subdued phrasing. In the first-act duet he managed to get real tenderness into his “Un bacio,” and he even refrained from going all-out on the final G flat that concludes the duet.

His basic vocal quality remains hard, but there is little he can do about that. On the other hand, the strength and conviction of his acting, the power he has for climaxes and the authority with which he has grown into the role make his easily the greatest Otello of the day and the finest one since Martinelli was in his prime.

Del Monaco continuò a indagare puntigliosamente tutte le sfumature di questo complesso personaggio nel corso delle 427 recite in cui lo interpretò, fino a quelle conclusive tenutesi al Theatre de la Monnaye di Bruxelles nel 1972. Possiedo la registrazione di due di queste rappresentazioni, quelle del 9 e del 12 novembre, e posso dire la prima volta che le ascoltai rimasi sbalordito per la freschezza e la saldezza dei mezzi vocali, oltre che per l’ incisività e il vigore drammatico dell’ interpretazione. Una prova assolutamente eccezionale, in un ruolo che impegna allo spasimo il cantante e l’ interprete, come lo stesso Del Monaco ricordava:

“Le difficoltà che ho incontrato nell’ interpretazione vocale dell’ opera Otello, quando si canta a gola aperta e senza opportuni risparmi, sono state massacranti, ma ciò che mi è stato particolarmente impegnativo e logorante sotto il profilo interiore è stata la complessità dei sentimenti del personaggio, che incalzano verso una continua tensione, la profondità delle passioni, la gelosia d’ amore esasperata fino alla morte. Questo crogiolo di sentimenti, se lasci che ti coinvolga, rende il lato psicologico più faticoso e logorante dell’ emissione vocale cantata.”

Mario Del Monaco in Otello

Dovrei adesso parlare nei dettagli di tutte le altre grandi interpretazioni lasciateci da Del Monaco, fortunatamente rese tutte reperibili da una ricca discografia ufficiale e da moltissime registrazioni dal vivo pubblicate nel corso di questi ultimi decenni. Non posso, a questo proposito, fare a meno di dedicare un cenno alla sua straordinaria caratterizzazione del personaggio di Canio nei Pagliacci. In quest’ opera la potenza drammatica del  fraseggio di Del Monaco, il senso della tragedia che lo porta a trasfigurare quella che sembrerebbe una semplice storia di tradimento coniugale in dramma universale, portano ad un risultato interpretativo che eguaglia e spesso supera quello leggendario di Enrico Caruso. Un Canio lacerato da sentimenti squassanti, espressi da un fraseggio emozionante nella sua immediatezza e verità. Potrei parlare nei dettagli del suo eroico Chénier, del Dick Johnson ineguagliabile per slancio e drammaticità, del Don Alvaro disperato nella sua ribellione al destino e della sua cavalleresca e tragica caratterizzazione di Ernani. Ma preferisco adesso tentare di tracciare un breve ritratto dell’ uomo, oltre che dell’ artista.

Ho avuto modo di conoscere personalmente Mario Del Monaco dopo il suo ritiro dalle scene, e di frequentare la sua casa. Lo avvicinai casualmente una sera in un negozio a Treviso e, dopo un quarto d’ ora circa di conversazione, mi dette il suo numero di telefono e mi invitò ad andarlo a trovare a Villa Luisa, a Lancenigo, cosa che naturalmente feci nel giro di pochi giorni. Sia ben chiaro, non intendo assolutamente millantare di essere stato suo amico o addirittura suo intimo. Che amicizia avrebbe potuto esserci tra un divo ammirato da tutto il mondo e un giovane studente ancora inesperto come ero io allora? Posso solo dire che i pomeriggi che ebbi il privilegio di trascorrere a casa del Maestro, come l’ ho sempre chiamato, mi sono serviti ad assimilare un bagaglio di conoscenze che sono state fondamentali nella mia successiva esperienza di ascoltatore e studioso del mondo operistico. Mario Del Monaco era molto diverso dal personaggio guascone ed estroverso che amava sfoggiare in pubblico. Del resto, ce lo ripeteva spesso: “Voi credete che io sia uno di quei tromboni nostalgici che si consolano con gli autoincensamenti. Un generale in pensione. No, vi sbagliate. Io sono un cane bastonato dalla sventura. Avrei voluto cantare in teatro fino all’ ultimo giorno della mia vita, e la salute non me lo ha permesso!”.

Ciò che ricordo più nitidamente di lui è l’ entusiamo con cui parlava del suo mestiere; si percepiva subito che era una persona profondamente innamorata del suo lavoro e che possedeva una fortissima coscienza professionale e un profondo rispetto del pubblico. Del resto anche un critico che fu spesso severo nei suoi riguardi come Rodolfo Celletti riconosceva che a suo onore andava detto che non fu mai un cinico e non speculò mai sulla simpatia che ispirava al pubblico per farsi trovare impreparato o in condizioni vocali poco decorose. Era soprattutto un uomo dotato di profonda signorilità, disponibilissimo ad ascoltare, se percepiva di trovarsi davanti ad un interlocutore che avesse qualcosa di valido da argomentare. Spesso amava mettersi al pianoforte e cantare per fornire qualche esempio. Non occorre dire che in quelle circostanze io ascoltavo rapito dall’ ammirazione per la potenza e la bellezza della voce, che Del Monaco conservò fino ai suoi ultimi giorni. Esistono registrazioni, che io ho potuto ascoltare, risalenti a tre mesi prima della morte e che fanno letteralmente venire i brividi. Dotato di una cultura vastissima, possedeva una conoscenza profonda di tutta la letteratura operistica italiana e straniera. Ricordo benissimo, a distanza di tanti anni, una lunga conversazione dedicata ai problemi dell’ interpretazione di Wagner, autore che lui amava moltissimo e che rimpiangeva di non aver potuto cantare più spesso. Forse non tutti sanno, infatti, che Herbert von Karajan gli chiese insistentemente di fare Tristan und Isolde e che lui rinunciò, dopo aver studiato la parte per un anno e averla trovata impossibile da reggere per la sua vocalità.

Riguardo ai colleghi del passato, parlava con profondo rispetto e ammirazione di Tito Schipa e Giacomo Lauri Volpi, di cui era stato grande amico, di Gigli e Martinelli, che pure aveva conosciuto molto bene. Era interessatissimo alla figura artistica e umana di Caruso, che era imparentato con la sua famiglia visto che sua madre, Flora Giachetti, era cugina di Ada, la compagna del tenore napoletano e madre dei suoi due figli.

Mario Del Monaco con Giovanni Martinelli, Venezia 1966

Naturalmente, il suo umorismo caustico emergeva spesso, e ne venivano fuori battute al vetriolo nei confronti di artisti che stimava poco o che avevano fatto cose secondo lui sbagliate. In uno dei nostri primissimi incontri, per esempio, appena seppe che avevo ascoltato Placido Domingo nell’ Otello scaligero con Carlos Kleiber, disse: “Caro, lo vedi che il mondo ormai va alla rovescia? Il mio Cassio che si mette a fare Otello!”. Infatti, Domingo da giovane  aveva cantato la parte di Cassio accanto a lui, nel 1966 ad Hartford nel Connecticut…

Era legato da un profondo affetto umano, oltre che artistico, con Renata Tebaldi e Giulietta Simionato, e parlava sempre con ammirazione della Callas, sottolineando in particolare le sue straordinarie capacità sceniche. “La Callas bisognava vederla”, ripeteva spesso, “dai dischi non potete capire fino in fondo che artista fosse!”. Conosceva a fondo la discografia dei grandi dell’ epoca dei 78 giri, e da suoi suggerimenti e indicazioni ho avuto l’ opportunità di approfondire le mie conoscenze nel settore, che a quel tempo erano, per forza di cose, abbastanza limitate.

Ricordo ancora l’ ultima volta che lo vidi da vivo. Fu nel pomeriggio del 6 luglio 1982, e la circostanza fu piuttosto particolare. La Nazionale di calcio stava correndo trionfalmente verso la conquista del titolo mondiale e quel giorno, contro tutti i pronostici, aveva battuto per 3-2 il fortissimo Brasile di Zico, Cerezo e Falcao. Finita la partita, Del Monaco si mise al volante della sua Rolls Royce e raggiunse Piazza dei Signori, a Treviso, dove la folla si era riversata per festeggiare la vittoria, come sempre accade in questi casi. Fermò la macchina e in piedi, col busto fuori del tettuccio apribile, intonò a gola spiegata l’ Inno di Mameli. Fu questa l’ ultima occasione in cui la sua voce echeggiò in pubblico.

Da qualche mese non ero più stato in visita da lui, preso com’ ero dalla preparazione della mia tesi di laurea, dedicata alla funzione del tenore nelle opere di Verdi. Lui ne era al corrente e tramite conoscenze comuni mi aveva fatto sapere che aspettava di leggerla dopo la discussione. Purtroppo il destino aveva deciso diversamente. Seppi della sua morte dalla radio, mentre ero a Venezia appunto per impegni universitari. Ricordo ancora il senso di vuoto che provai in quel momento, lo stesso che mi prese diciannove anni dopo in occasione della scomparsa improvvisa del carissimo Beppe Sinopoli. Il funerale, nella piccola chiesa di Lancenigo, si svolse davanti ad un autentico parterre du roi di personalità della lirica, come la Tebaldi, la Simionato, la Cerquetti, la Olivero, Franco Corelli e tantissimi altri. Per suo espresso desiderio, nessuno cantò durante la funzione e il rito fu accompagnato dalla sua incisione dell’ aria “Pietà Signore”, la stessa che fu cantata ai funerali di Caruso. L’ immagine più nitida che mi è rimasta di quel giorno è l’ uscita della bara, nel grigio di quella giornata autunnale, portata a spalla da quattro amici e, dietro di essa, Franco Corelli e Renata Tebaldi impietriti dal dolore.

Sono passati trent’ anni da quel giorno, ma la voce e l’ arte di Mario Del Monaco continuano a vivere nella memoria degli appassionati. Voglio concludere questo omaggio con le parole di un grande come Herbert von Karajan. Nel 1987 il maestro austriaco, richiesto di una testimonianza dal tenore Osvaldo Alemanno, che stava preparando un volume biografico su Del Monaco, rispose con una lettera di cui traduco un brano.

Uno dei ricordi più preziosi della mia vita artistica è rappresentato dalla collaborazione con il tenore Mario Del Monaco. Ha cantato la parte del protagonista in una mia nuova produzione di Otello alla Wiener Staatsoper e lavorare con lui era affascinante. Egli rappresentava l’ Otello per eccellenza. Il suo ricordo ci accompagnerà per sempre come quello di uno dei più grandi artisti che abbiano creato l’ Opera.

(da Mario Del Monaco di Osvaldo Alemanno, Matteo Editore, Treviso 1988)

29 pensieri riguardo “Mario Del Monaco, 1982 – 2012

  1. Caro Mozy,
    non ho conosciuto il grande Del Monaco di persona, come sai, ma credo fermamente che sarebbe davvero orgoglioso di aver avuto in casa una persona che gli ha reso un così grande omaggio. E’ un articolo interessantissimo, con dei racconti splendidi, che (almeno per quanto mi riguarda) hanno tenuto vivo in me ancora una volta il ricordo di questo immenso Maestro. Grazie di averlo condiviso con noi, e complimenti.
    Cordialmente.

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  2. Caro Gianguido,quando ti dico grazie per questo partecipatissimo ricordo che ci offri rischio di cadere nella retorica, ma , credimi, questo e’ un grazie sincero e ” di cuore” ( non potrebbe essere altrimenti da parte di un cardiologo). E ti spiego perche’ .Anch’io , forse influenzato da eminenti critici ( del passato come Celletti o recenti ) vedevo la vocalita’ di Del Monaco come stentorea e monocorde, e’ grazie a te ed ai tuoi ricordi e commenti che non solo ho cambiato idea ( e cio’ non conta molto) ma sopratutto mi sono appassionato alla figura di Del Monaco quale artista ed uomo.
    Vi sono alcuni aspetti che, sommariamente , vorrei proporti: anzitutto l’entusiasmo quasi adolescenziale che mostrava nei confronti della musica- oggi, in una trasmissione radiofonica hanno trasmesso i suoi commenti riguardo alle opere di Wagner, ebbene, trasmetteva entusiasmo contagioso-, in secondo luogo la ultradocumentata serieta’ professionale- tu ed altri avete ricordato con tanti aneddoti lo scrupolo quasi maniacale con il quale affrontava nuove opere, infine alcune caratteristiche della sua vocalita’, sbaglio o , nell'”esultate” da te allegato, da 0,44 al termine non riprende fiato ?, idem nel ” O Paradiso del 1950 ove-come nota il giornalista estensore dell’articolo,prende fiato prima di attaccare ” ecco ti premo alfin” e lo lega a “O Paradiso”. Sbaglio o questo si chiama cantare sul fiato ?
    Troppo facile a questo punto rimarcare le abissali differenze con i cantanti di oggi, compreso il suo Iago che kafkianamente subisce la metamorfosi otelliana, piuttosto un rimpianto, non poter ascoltare i suoi primi Pinkerton e sopratutto Edgardonelle lucie di cui pare esistano registrazioni private. Grazie ancora, Massimo

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    1. Grazie Anna, io lo sentivo come un dovere il commemorare, con la mia poca abilità, un artista sommo e una persona da cui ho imparato tantissimo.

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  3. bel post mozart,e soprattutto la testimonianza,e i ricordi di una persona che ha conosciuto di persona Del Monaco

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  4. le tesimonanze dirette,sono sempre preziose e vanno preservate a futura memoria.Grazie!!!

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    1. Mi ha scritto il nostro comune amico Alessandro Pierfederici: “I grandi artisti di quella generazione si sono ispirati ai loro predecessori, hanno seguito i consigli dei più vecchi e di maestri competenti, compreso quel qualcosa che non era scritto ma che esisteva e dava un suo specifico significato al teatro musicale e ad una tradizione che ha assunto poi un autentico valore di storia e di cultura (studiare i ruoli con gli autori, ad esempio… ascoltare i dischi di chi ha cantato prima di te, etc…). Ricordo che da giovanissimo ho respirato ancora (per poco tempo, ahimé) l’ultima aria di quel mondo che ancora conservava un’altissima dignità e un grande rispetto per la musica e per l’arte”. Personalmente, sottoscrivo in pieno queste parole.

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  5. Grazie Gianguido, leggo con molto ritardo e mi scuso, la tua pagina, grazie ad Anna Costalunga, che condividiamo l’amicizia su facebook, per la tua dotta ed esaustiva presentazione del MITO “Mario del Monaco”.
    Come certamente saprai, nella mia breve presenza in teatro, ho avuto più volte il Suo entusiastico incitamento, in particolare nel concorso del 72 con Lucia, a Treviso, allora non venni ammesso alla finale e lui abbandonò la giuria per protesta.
    Ho avuto l’onore di frequentare Villa Luisa a Lancenigo, spesso veniva ad Asolo, con la Sua meravigliosa Rolls Royce, mi invitava a pranzo, mi chiedeva sempre perché hai smesso di cantare, la voce è un dono di Dio, mi diceva.
    Il teatro lirico, così com’è oggi, uccide l’opera, per la sopravvivenza è fondamentale che si ritorni al ruolo primario e fondamentale della voce, diversamente non avrà futuro.
    Grazie Gianguido, mi hai fatto, anche se in ritardo, rinverdire la memoria.
    Ciao bestiaccia fatti vivo quando passi da queste parti un prosecco è sempre a disposizione.
    Attilio

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  6. Ti ringrazio: conoscevo e ho apprezzato Del Monaco (come tenore) ma il tuo articolo è stato prezioso perché me lo ha fatto conoscere anche come uomo.

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  7. Grazie per questa testimonianza e sempre un piacere leggere articoli su Mario Del Monaco vorrei e mi piacerebbe che venisse ricordato di più dalla Rai cosi anche per la Sig. Tebaldi
    Lino

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  8. Si sono d’accordo con Pier Luigi certo non sono sicuramente obbiettivo ma le emozioni che mi trasmette Del Monaco nel le provo con altri tenori pur bravi che siano perché ci sono anche oggi degli ottimi artisti e i giudizi li lascio a chi se ne intende sicuramente più di me comunque grazie per questa bella storia

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