Intervista a Cristina Barbieri

Ho ncontrato per la prima volta Cristina Barbieri una ventina di anni fa, a Treviso, quando interpretava il ruolo di Lauretta del Gianni Schicchi, in una produzione diretta dal mio caro e compianto amico Massimo De Bernart. Scrissi di lei in maniera positiva, segnalandola come una giovane di buone potenzialità. Negli anni successivi, il soprano modenese ha infatti percorso una bella carriera, che sarebbe anche potuta essere migliore, se la dirittura morale di Cristina e il suo rifiuto di scendere a compromessi, sia nella vita che nella sua professione, non le avessero impedito di fare certe scelte. Negli ultimi tempi io e Cristina abbiamo ripreso contatto grazie al web, e da qui è nata l’ idea di questo colloquio, dove lei si racconta con la sua solita sincerità e naturalezza.

Per prima cosa, raccontaci come hai deciso di diventare una cantante lirica

E’ successo per caso. In casa mia si sono sempre ascoltati diversi generi musicali. In tenerissima età poi misi gli occhi su vecchi libretti di mio nonno e alcune raccolte di arie in vinile che mi impressionarono molto. Da adolescente, mentre frequentavo il catechismo, venni casualmente dirottata al coro dei ragazzi, dove mi si incoraggiarono a fare la solista. Per ragioni di studio, mi sono trasferita molto presto a Cremona e iscritta alla locale scuola di musica, dove ho iniziato a studiare canto, solfeggio e pianoforte. Dopo il diploma di liuteria alla scuola di Cremona, ho frequentato il Conservatorio di Ferrara dove mi sono diplomata. A onor del vero, devo però aggiungere che, contemporaneamente al conservatorio, frequentavo quelli che da sempre ho considerato i miei insegnanti di riferimento: i maestri Christine e Alain Billard coi quali ho studiato molto, anche dopo il diploma.

Ci sono stati, nel corso della tua carriera, incontri con persone che ti hanno aiutato a crescere professionalmente?

Moltissime! Certo nominarne qualcuna piuttosto che altri non è particolarmente simpatico ma ad esempio il Maestro Alain Guingal, col quale ho avuto la fortuna di debuttare, e poi successivamente riprendere, il ruolo di Margherita dal Faust di Gounod. Fu un incontro davvero molto illuminante. Un direttore d’orchestra forse troppo sottovalutato, ma certamente un attento e sensibile musicista, conoscitore della voce che sapeva valorizzare in tutte le sue sfumature. Guingal ha saputo introdurmi al repertorio francese, accompagnandomi per mano, facendomene apprezzare la bellezza immensa. Posso poi citare Chailly, Bonynge, Abbado, dei quali tutti conoscono il grandissimo valore artistico. Vorrei aggiungere che per un cantante è fondamentale lo studio a tavolino dei propri ruoli e a questo proposito non posso non citare un grandissimo esperto in questo lavoro: il maestro Robert Kettelson, grande musicista col quale ho avuto l’ onore di preparare tanti ruoli nel suo studio alla Scala, dove lavorava come stretto collaboratore del Maestro Muti. Era una persona davvero molto speciale, che troppi oggi hanno frettolosamente dimenticato ma che ha formato molti cantanti coi quali lavorava con amore, rigore e rispetto della partitura . Dopo di lui ce ne sono stati anche molti altri, il Maestro Bosman , il Maestro Polastri, e tanti altri giovani non meno promettenti, spesso direttori d’ orchestra, coi quali ancora adesso studio. Una bella esperienza che non posso tralasciare è stato poi il concorso Pavarotti che mi ha dato l’occasione di debuttare a Philadelphia e subito dopo in Italia; un vero peccato che di concorsi così importanti ce ne siano sempre meno.

Quando hai cominciato a studiare, avevi un modello tra i grandi cantanti del passato?

Certamente, sia del passato che del presente. Essendo io di Modena, ne ho avuti almeno tre, ma uno in particolare col quale ho studiato più che con gli altri è Mirella Freni, con la quale ho avuto la fortuna, l’ onore e il piacere di preparare molti dei ruoli che ho debuttato. Altri punti di riferimento sono stati Stella, Zeani, Tebaldi, Caballè, Devia, Protti, Scotto, Callas, Del Monaco, Caruso, Pavarotti. La lista sarebbe lunghissima. Uno straordinario interprete che ho avuto il piacere di conoscere assistendo a una sua master class è stato Ghiaurov, un grande artista, dotato di una grandissima umanità che mi sorprese per molti aspetti, uno su tutti quello di commuoversi fino alle lacrime ricordando, un pomeriggio, le atrocità della guerra.

Come scegli i ruoli da affrontare e qual è il tuo approccio interpretativo nel preparare una parte?

Li scelgo per affinità vocale. In passato mi sono stati offerti i ruoli più diversi, tanto meravigliosi e allettanti quanto lontanissimi dalle mie possibilità vocali, ruoli che puntualmente ho rifiutato. Se li avessi accettati a quest’ ora non avrei che un soffio di voce, diciamo pure solo il soffio…
Spesso si leggono recensioni o interviste dove i cantanti lamentano di essere stati “costretti” ad accettare ruoli inadatti. Mi mi viene da ridere perchè sono scuse per nascondere le vere motivazioni e giustificare le puntuali e implacabili defaillances che derivano da queste scelte scellerate. Sappiamo fin troppo bene che quando si cede a queste tentazioni, lo si fa per prestigio, per un teatro importante, per un direttore o un regista o più volgarmente per denaro. Lo si fa per tutto tranne che per l’ Arte. Nessuno può costringere un interprete ad accettare o rifiutare un ruolo, se non la propria coscienza , il rispetto per il proprio lavoro e per il pubblico che mi pregio di non avere mai tradito. Certo rifiutare non è mai piacevole, soprattutto quando si tratta di ruoli meravigliosi ma le corde vocali sono muscoli molto delicati, che non fanno sconti a nessuno, nemmeno ai grandissimi.
Quando apro uno spartito cerco di essere fedele all’ autore e come mi raccomandava Kettelson, cerco di farmi comprendere, dando un senso alle parole e rispettando il più possibile le note. Dopo questa prima fase di studio cerco di lasciarmi trasportare dal mio senso interpretativo, in un continuo gioco di equilibrio tra tecnica e fraseggio. Trovo poi fondamentale quanto affascinante cercare di entrare nella psicologia dei personaggi, coglierne le debolezze e la forza; un po’ come cambiare pelle ogni volta, un privilegio unico che ci concede questo bellissimo lavoro.

Quali sono stati i direttori, i registi e i colleghi che ricordi con maggior piacere, tra quelli con cui hai lavorato?

Devo dire che ho avuto la fortuna di lavorare con registi e direttori di altissimo livello e da tutti ho imparato moltissimo. Alcuni li ho preferiti ad altri, mi sembra naturale, ma posso dire di essere stata molto fortunata. Amo molto lavorare con personaggi pieni di idee, che sanno travolgerti con il loro entusiasmo e la loro competenza, quelli che sanno osare con intelligenza, con un occhio di riguardo alle potenzialità sempre differenti dell’ interprete. Cosa sarebbe l’ opera se ogni volta non ci fosse qualcosa di nuovo da scoprire, esaltare o reinventare? La Turandot che mi ha vista nelle vesti di Liù, per la regia di Krief e la direzione di Stefanelli al teatro di Sassari alcuni anni fa è stata per me, ad esempio, un bellissimo connubio di innovazione musicale e registica.

Come si lavora all’ estero? Meglio che in Italia e, se sì, per quali ragioni?

Ho lavorato molto all’ estero, Germania, Svizzera, Francia, Olanda, USA e devo dire che ho sempre riscontrato grande serietà nell’ organizzazione, cosa di cui noi difettiamo abbastanza. Ricordo l’ ultima volta che ho lavorato in Spagna al teatro di Oviedo, ad esempio: mi inviarono il piano di lavoro giornaliero con 8 mesi di anticipo e quando arrivai sul posto, quel piano non era mutato di una virgola. Per quanto riguarda il resto, direi che non ci sono grandi differenze, soprattutto adesso che i finanziamenti sono ovunque un grande problema. A parte gli artisti ospiti, che vengono invitati specificamente dal teatro per un determinato ruolo, è in atto già da parecchi anni una modalità a mio parere abbastanza discutibile e cioè quella delle assunzioni per periodi variabili. Questo tentativo di impiegatizzare i cantanti ha certamente dei vantaggi economici per il teatro ma quando lo si spaccia per opportunità per le giovani generazioni diventa ipocrisia sulla pelle dei debuttanti e del pubblico pagante.Tutti sappiamo che il vero scopo di queste operazioni è quello di abusare della scarsa esperienza dei giovani (e adesso purtroppo anche dei meno giovani) per risparmiare abbassando giocoforza la qualità degli spettacoli.

Tu sei sposata e madre di famiglia. Come si fa a conciliare gli impegni di una professione come la tua con la vita familiare?

Conciliare famiglia e professione è un problema come lo è per tutte le altre categorie lavorative, in particolare se sei una donna. Un musicista ha inoltre l’ aggravante di essere spesso lontano da casa e per periodi più meno lunghi e conciliare tutto non è facilissimo.
A questo proposito, mi piace ricordare che a quattro giorni dalla nascita di mia figlia ero già in teatro per il debutto di un ruolo per me molto importante. Il direttore artistico mi accolse dicendo, ”ti vedo un po’ ingrassata”… Naturalmente mi guardai bene dal comunicargli il perché e prudentemente annunciai solo dopo la generale il lieto evento. In teatro si sa, una scusa per sostituirti se si vuole la si trova ovunque, al di là del merito, merito che con questo piccolo stratagemma non venne messo minimamente in discussione. Non sto qui a elencare quanti disgustosi suggerimenti e irripetibili commenti ho ricevuto quando all’ inizio della mia carriera ho deciso di sposarmi.
Se poi, come a volte purtroppo capita nella vita, ci si deve allontanare temporaneamente dalle scene e rimanere qualche mese “fuori dal giro”per gravi problemi familiari, ecco allora scatenarsi il finimondo. Improvvisamente tutti ti sono contro e quello che si è fatto fino a quel momento sembra non sia mai esistito. Colleghi e agenti, si sentono in diritto di dubitare e fantasticare sulla tua professionalità, senza la più pallida idea di quali siano state le reali motivazioni del forzato allontanamento. Non posso proprio dire che il mondo che ruota intorno e dentro al teatro sia costellato da persone sempre comprensive e sensibili; direi piuttosto che ci sono tanti squali affamati, mascherati da giocosi delfini.

E adesso, veniamo a una domanda scomoda. Che ruolo rivestono le agenzie nel mondo dell’ opera e negli sviluppi della carriera di un cantante?

Inutile nascondere che svolgono un ruolo importantissimo, sia all’estero che da noi. Il problema quando si collabora con qualunque mediatore del lavoro è la disparità del rapporto. Un cantante non saprà mai in che termini il suo agente lo propone in un teatro e non è al corrente delle reali dinamiche delle trattative. Questa conoscenza parziale e filtrata della propria attività, unita al fatto che un agente non rappresenta un solo artista per categoria è certamente una soluzione per l’ agente ma è “Il Problema” per l’ artista. E’ un rapporto basato sulla fiducia a senso unico e come tale foriero di manipolazioni. Mi è capitato ad esempio spesso di incontrare registi o direttori che mi rimproveravano di non avere accettato una determinata produzione, mentre semplicemente io non ne ero stata messa a conoscenza. Ancora, mi è capitato di non essere proposta per audizioni che si tenevano su miei ruoli di riferimento e quando chiedevo spiegazioni le risposte erano, per usare un eufemismo, degli acrobatici arrampicamenti sugli specchi. Ho sempre considerato questo mestiere, che è principalmente una passione, qualcosa di molto lontano da queste logiche di rappresentanza, che più che commerciali definirei da miopi bottegai. Per quale ragione un artista non dovrebbe promuoversi da solo? Perché non può essere giudicato solo esclusivamente per le sue qualità e non per il potere contrattuale dell’ agenzia che lo rappresenta? Nel teatro esistono mille forme di audizioni: per ruoli, per chiamata diretta, per agenzie. Per artisti non rappresentati ne esistono pochissime, anzi spesso proprio questa condizione è la discriminante.
Purtroppo la crisi attuale accentua ancora di più queste disparità e gran colpa, oltre a un sistema di reclutamento smaccatamente parziale, è anche della nostra categoria che non ha saputo cogliere l’ occasione di coalizzarsi e liberarsi da certe sovrastrutture che oggi per me non hanno più senso.
Nessuno sembra rendersi conto che l’abbassamento della qualità e la diminuzione dell’ offerta che è sotto gli occhi di tutti dipende anche (o soprattutto) dall’ aver posto sempre di più l’ arte alla stessa stregua della merce a basso costo esposta sul banchetto del mercato. Ci sono artisti che sono prodotti commerciali nel senso deteriore del termine e che nessuno si sognerebbe mai di paragonare a una Callas o ad un Del Monaco. Basterebbe che il pubblico avesse realmente gli strumenti per giudicare e invece questi strumenti sono sempre stati negati ed oggi ancora di più. E’ più facile propinare fenomeni da baraccone e spacciarli per arte che far crescere un vero interprete, operazione per la quale occorre tempo, dedizione, amore per la professione, onestà e soprattutto competenza. A conferma della regola ci sono naturalmente anche le eccezioni, in artisti che sono riusciti faticosamente ad affermarsi a grandi livelli e che purtroppo vengono continuamente paragonati a prodotti impresentabili, che non fanno che abbrutire il gusto del pubblico e mortificare un settore che se non cambierà rotta, sarà presto destinato al dimenticatoio.

Sei soddisfatta di quanto hai fatto sulle scene finora? Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

Si, sono molto soddisfatta, perché è stato il frutto di scelte spesso durissime e soprattutto di studio e confronto continuo. Sono entusiasta del rapporto che professionalmente ho avuto con tutti i direttori d’ orchestra e registi con cui ho lavorato. Al di la di scelte musicali che si possono o meno condividere non ho mai avuto scontri.
Certo qualche piccola “colpa” di cui mi assumo, e rivendico con orgoglio, tutta la responsabilità l’ ho certamente, una su tutte quella di non avere saputo sfruttare i preziosi consigli di chi si interessava non al mio repertorio ma al mio guardaroba, suggerendomi di presentarmi alle audizioni, alle prove, o ai dopo cena operistici con tacchi a spillo, profonde scollature e magari qualche minigonna inguinale, e queste son cose che, come si sa, oggi e in passato hanno fatto la differenza…
Mi piacerebbe e questo è certo, continuare a coltivare questa passione per altri 20 anni, avere quelle tre o quattro produzioni l’ anno da alternare a concerti, a progetti per le scuole senza ossessivamente pensare di dovere riempire il calendario. Ho una famiglia di cui vorrei pienamente godere ma per come vanno le cose la vedo durissima. In un mercato in cui scegliere i propri ruoli viene considerato un un handicap c’ è da lottare parecchio, e se poi ci si aggiunge che non si ha un rappresentate super potente alle spalle sei quasi spacciato, fuori “mercato”. Oggi gli agenti sono i primi a dirti che non esiste il repertorio e la prova sta nei cartelloni dove, a parte qualche rarissimo caso, tutti interpretano tutto, senza scrupoli e pudore. Sai quante volte mi sono sentita dire,”se non accetti tu, questo ruolo lo accetterà qualcun’ altra, magari ancora meno adatta di te!!!”. Io però sono una tosta idealista e continuo a sperare che le passioni non debbano morire e vadano coltivate con tenacia e rigore e non mi importa che il tutto venga scambiato a volte con livore, perché chi incolla queste facili etichette è palesemente in malafede.

Cosa pensi del mondo operistico attuale? C’ è, a tuo avviso, una crisi e quali sono i motivi?

Secondo me dire che l’ opera è crisi è una grandissima ipocrisia. Si può dire che ci sono meno finanziamenti ed è vero, ma si potrebbe aggiungere che quelli che ci sono stati fino ad ora sono stati mal gestiti e direzionati sempre sulle stesse persone o in progetti assolutamente improbabili. Mi vengono in mente i nuovi show sulla lirica in tv o l’ assurda prassi di proporre gli stessi titoli in teatri geograficamente vicini. C’ è inoltre una cosa che mi ha sempre stupito: perchè i melomani, i giornalisti e certi amministratori non si pongono mai domande che potrebbero chiarire molti apparenti misteri? Sarebbe interessante chiedersi come alcuni cartelloni siano costellati sempre ed esclusivamente degli stessi interpreti o da artisti rappresentati sempre dagli stessi agenti, oppure perché certi giovani arrivino a debuttare in teatri importanti, pur non avendo uno straccio di curriculum credibile. E ancora: come mai certi artisti che fino a ieri cantavano ovunque, improvvisamente si esibiscano solo in teatri minori. Sono domande che farebbero gran bene al rilancio di giovani di vero talento e al prepensionamento di altri.
Penso che occorrerebbe anche rendere i teatri maggiormente trasparenti e soprattutto liberi dalla politica e da personaggi che li utilizzano a uso e consumo delle loro carriere personali, nelle quali il loro ruolo in teatro è solamente un mezzo per farsi strada altrove. Possibile che mai nessuno noti quanti meccanismi di scambio esistano?
Infine bisognerebbe chieder conto di tutto questo direttamente a chi ha gestito e ancora gestisce, peraltro a rotazione, i teatri italiani.

Esiste al giorno d’ oggi un problema di didattica? Secondo te, come dovrebbe essere un buon insegnante di canto?

Credo che di insegnanti di canto ce ne siano fin troppi e quello ideale francamente non esiste. Un insegnante che ha calcato le scene è il frutto del proprio studio, della propria esperienza personale e non è sempre così scontato che quell’esperienza sia direttamente trasferibile agli altri. Ho visto insegnare canto ex coristi, ex strumentisti, registi, come se fosse la cosa più semplice e alla portata di tutti e per contro, stuoli di allievi girare come disperati dall’ uno all’ altro, spendendo cifre considerevoli senza mai cavare un ragno dal buco.
Purtroppo gli allievi navigano a vista tra un’ offerta davvero sconvolgente di corsi, scuole, accademie, master che ogni giorno prolificano come i funghi ovunque. Il mio consiglio è quello di fare molta attenzione, di porsi e porre domande, di ascoltare e ascoltarsi, di non accontentarsi di dogmi dispensati troppo spesso a caro prezzo. Ho incontrato allievi miopi, letteralmente plagiati da insegnanti possessivi che ne controllavano le scelte.
Il miglior insegnante è quello che sa individuare i difetti e lavora su quelli non in modo standard, come se tutti fossimo fisiologicamente delle repliche, ma cercando di piegare quelle che sono le basi della propria esperienza e della tecnica al soggetto che si ha di fronte e questo purtroppo è un lavoro durissimo che pochi fanno onestamente. Tendenzialmente si cerca di inculcare la propria tecnica in maniera acritica senza curarsi che l’ allievo abbia reali difficoltà nell’ applicarla. Insegnare è un lavoro duro, di grande responsabilità, che richiede confronto e scambio di idee col proprio allievo e quando non si riesce nel proprio intento,  si dovrebbero analizzare bene le reciproche responsabilità. Ho conosciuto grandissime star – docenti, assolutamente inadatti all’ insegnamento con l’ aggravante della loro completa inconsapevolezza della fisiologia dell’ apparato fonatorio.
Bisogna imparare a conoscersi a capire quello che si deve assorbire e tralasciare quello che non serve.

Se fossi il direttore artistico di un teatro, quale sarebbe il tuo cartellone ideale?

Comincio col dire che se fossi un direttore artistico non sarei una cantante, in quanto o sei l’ uno o sei l’ altra. Lo stesso vale se fossi uno strumentista o un direttore, o un insegnante di canto. Non si possono assumere incarichi in conflitto tra loro, non si è credibili e il conflitto di interessi è sempre dietro l’ angolo e lo sappiamo tutti. Vuoi gestire un teatro? Benissimo. Ti autosospendi per tutto il tempo necessario, da qualsiasi attività professionale possa entrare in conflitto con le scelte di un direttore artistico. Non solo, ma ti preoccupi di andare alla ricerca di interpreti nuovi, li ascolti personalmente, fai audizioni regolarmente, li scritturi assumendoti le tue responsabilità senza più demandare la formazione dei cast all’ agenzia di turno più o meno potente. Un teatro dovrebbe essere sempre fruibile, aperto alla città dalla mattina alla sera e non una torre d’avorio inarrivabile, ad uso e consumo di pochi. Il pubblico del futuro si conquista avvicinandolo non solo durante le esibizioni, ma anche durante le prove e la preparazione degli spettacoli, e questo dovrebbe essere rivolto in maniera capillare al mondo della scuola, non solo saltuariamente come succede adesso, ma come parte integrante della formazione musicale dei nostri giovani…
La conoscenza da parte del pubblico degli aspetti nascosti dell’ allestimento di uno spettacolo può fare la differenza e indurre maggiore curiosità e interesse per questo mondo.
Ormai sono pochissimi i teatri che conservano le proprie competenze, i propri cori, le orchestre, le sartorie, le parruccherie, le calzolerie e questo secondo me è un valore aggiunto irrinunciabile, che una volta perduto lo sarà per sempre. Il cartellone ideale dunque, è quello dove gli interpreti vengono scritturati esclusivamente in base al merito. Altri parametri non dovrebbero essere contemplati.

Che consigli daresti a un giovane che volesse intraprendere la tua professione?

Direi di essere attento e di darsi delle priorità e dei tempi. Non si può essere allievi o corsisti per una vita, non è giusto. Io auguro a chiunque voglia intraprendere questa professione di trovare interlocutori sinceri, e di guardarsi da chi tenta di propinare il Verbo musicale. Questo è l’ aspetto più difficile. Ci siamo passati tutti; ci si lascia affascinare dal miraggio di folgoranti carriere, dal carisma di certi grandi personaggi senza capire che quelle sono eccezioni e non la regola. Non tutti diventano star mondiali, anzi sono pochissimi e se come comprensibile, da quelli ci lasciamo affascinare, dobbiamo essere consapevoli che esiste una marea di bravissimi professionisti che a ben guardare, rappresentano la stragrande maggioranza del settore e meno male che ci sono!
Ho visto con dispiacere giovani inseguire chimere altisonanti per mezzo mondo, senza poi combinare nulla. Siate obiettivi, fate molti ascolti, documentatevi e studiate senza stancarvi mai.
Verificate i vostri progressi, siate consapevoli delle vostre mancanze e soprattutto fatevi rispettare. Questo è quello che un allievo ha il diritto e il dovere di chiedere al suo maestro. Cercate di avere rispetto della vostra passione, del vostro studio e non fatevi incantare dai lustrini o da chi vi prometterà facili carriere.

Tu sei una persona molto attenta alla realtà attuale. Come vedi la situazione italiana e che riflessi ha, secondo te, sulla vita culturale del Paese?

Viviamo in una società che è tutto fuorché meritocratica e che mette sempre più in secondo piano la qualità a favore dell’ apparenza, della velocità, del facile guadagno unito al modesto o addirittura mediocre investimento. In tutti i campi. Se non si inverte questa tendenza non ci sarà nessun futuro per l’ arte in genere e quindi anche per la lirica. Ognuno di noi nel suo specifico settore può fare la differenza, abbiamo tutti l’ obbligo morale di provarci.

Come vedi il futuro del teatro lirico, non solo in Italia?

La materia prima, i cantanti, i musicisti, i registi, gli scenografi ci sono ed in abbondanza. Quello che manca è la voglia di cambiare, di partire da una sana autocritica per creare un nuovo modello di lavoro. Siamo tutti troppo ancorati ai vecchi sistemi manageriali e non si può sperare di cambiare la macchina teatrale levigando le tavole del palcoscenico o rifoderando qualche poltrona. Si deve ripartire cambiando la nostra mentalità, ripensando al nostro ruolo e questo è lo scoglio maggiore.
La crisi avrebbe potuto essere una bella occasione, una sorta di collante per uscire dalle vecchie logiche di mercato e per proporsi in modo alternativo, essere noi stessi gli artefici della nostra promozione e invece… nulla. La reazione è state esattamente opposta; e se da una parte si tolgono i fondi, dall’ altra è scattato l’ arrembaggio alla nave che affonda. In tutto questo chi ha affossato i teatri continua a stare al proprio posto di comando indisturbato e i vecchi giochetti sono diventati ancora più squallidi. Conosco persone che prestano la propria opera gratuitamente, pur di rimanere a galla e questo è profondamente sbagliato. Le professionalità, a parte le solite eccezioni, vengono sempre meno riconosciute ed ora più che mai i sotterfugi, i soldi, l’ incompetenza la fanno da padrone. L’ abbrutimento culturale è figlio anche del nostro disinteresse, della nostra pigrizia mentale…  Spesso mi arrabbio quando sento dire che la politica è una cosa che non c’ entra con la nostra vita quotidiana. Tutto è politica, fare la spesa, respirare aria migliore, andare a scuola, curarsi e non possiamo pensare di esserne esenti, in quanto artisti. Ribadisco che sono fermamente convinta che tutti dovrebbero contribuire col proprio lavoro e la propria partecipazione a migliorare il posto in cui si vive, invece preferiamo lamentarcene e demandare ad altri. Bisognerebbe che uscissimo un po’ più spesso dal palcoscenico, dove siamo abituati ad essere applauditi e osannati da protagonisti, per entrare nel contesto dei numerosi problemi del settore che attendono soluzioni.

E adesso dicci “cosa vuoi fare da grande”… pensi di restare nell’ ambiente, una volta che avrai concluso la carriera?

Ho debuttato 20 anni fa e ancora adesso mi sento più nelle vesti di un’ aspirante alla carriera piuttosto che prossima alla pensione…
Un bel sogno potrebbe essere quello di riuscire a creare, in una forma che ora non saprei descrivere esattamente, uno spazio culturale dove la musica, l’ opera, la letteratura, ma anche la pittura, la scultura, possano viaggiare di pari passo interdisciplinarmente. Mi piacerebbe contribuire a fornire gli strumenti per creare nel pubblico un maggior spirito critico, affinché possa riconoscere e quindi pretendere una maggiore qualità dell’ offerta. Auspico inoltre che il teatro,così come la musica e l’ opera lirica siano sempre più alla portata di tutti, senza per questo doverne sacrificare le professionalità e la qualità.

 

Per chi volesse ascoltare qualche brano eseguito da Cristina Barbieri, ecco il link del suo canale You Tube

9 pensieri riguardo “Intervista a Cristina Barbieri

  1. Intervista interessantissima, finalmente una cantante che risponde alle domande in modo personale, vero e non stereotipato. Ho anch’io un piacevolissimo primo ricordo della Maestra Barbieri; era il 95, e al Teatro Comunale di Modena andai a sentire l’Elisir d’Amore in cui lei, ovviamente, era Adina. Veramente una bellissima serata, complimenti vivissimi ad intervistatore e intervistata.
    Cordiali Saluti.

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  2. E’ un piacere leggere le idee di una seria artista .Ti auguro di poter mettere in pratica i tuoi progetti.

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  3. Una grande artista di rara umanita’, una vera e sincera amica. Ti auguro sempre il meglio e che il mio plauso ti giunga al cuore. Baci

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